Cosa non avevamo capito di Perfect Blue nel 1997: la recensione dell'edizione restaurata
Con un’uscita in 200 sale, Nexo Digital permette al pubblico italiano di vedere su grande schermo un film che ha cambiato la traiettoria del cinema negli anni ‘90 e la cui edizione restaurata è davvero encomiabile.
Vedere un film come Perfect Blue è un’esperienza che capita di raro, perché sono pochi i lungometraggi d’esordio che raggiungono questa qualità tecnica e questa maturità narrativa. Perché sono ancora meno i film che segnano chiaramente un prima e un dopo rispetto alla loro uscita, la cui potenza sull’immaginario devia il cinema d’autore e commerciale dal proprio tracciato, spingendolo qualche grado fuori traiettoria, in un’altra direzione.
Vedere nel 2024 significa provare una sorta di dejavù, perché lo abbiamo viste decine di altre volte, altrove, come riverbero o eco. L’esordio animato di Satoshi Kon ha influenzato profondamente i cineasti suoi coetanei, quelli che negli anni successivi avrebbero poi indicato la direzione da seguire dirigendo film a loro volta diventati icone di quell’epoca. Kon e i sedotti da Kon hanno portato su schermo le inquietudini di fine millennio in un un’ultima fiammata di thriller psicologici, labirintici, disorientanti, dove il mistero di consuma dentro e fuori la pelle del personaggio.
Il restauro di Perfect Blue ha conservato il doppiaggio storico
Aronovsky, Lynch, Fincher sono solo tre dei registi che hanno esplicitamente detto di aver subito la seduzione e l’influenza di Perfect Blue. Se il registro di questa pellicola ci è così familiare, se la associamo immediatamente al decennio breve cinematografico, è perché il cinema di Kon ci è arrivato comunque, per interposto film, anche se Perfect Blue sbarca su grande schermo solo ora. Mai distribuito in sala, Perfect Blue infrange i confini della riserva protetta degli amanti dell’animazione giapponese solo ora, solo a quasi 30 anni di distanza dalla sua uscita originaria.
Onore al merito a Nexo Digital e Yamato Video, che per questa uscita hanno fatto le cose in grande. Nexo ha messo insieme una distribuzione importante e capillare con 200 sale aderenti e i primi risultati al botteghino suggeriscono ancora una volta che è venuto il momento di distribuire l’animazione giapponese capillarmente, seriamente, senza eventi speciali o limiti temporali, perché l’attenzione e l’interesse ci sono.
Yamato Video ci ha messo un lavoro certosino sulla parte sonora da abbinare al restauro in 4K effettuato in Giappone a partire dalla pellicola del film. La pellicola arriva in sala con il doppiaggio realizzato per l’edizione home video dell’epoca, con una traccia audio 5.1 pulita, impattante, che permette di apprezzare appieno il doppiaggio realizzato per l’edizione home video dell’epoca, un lavoro davvero curato. ****
Non è una questione di passatismo, ma di coerenza: un film così radicato nell’epoca della sua uscita sembrerebbe quasi snaturato con le voci contemporanee, che hanno un approccio al doppiaggio molto differente. Elisabetta Spinelli è una doppiatrice simbolo di quegli anni, anche nel mondo dell’animazione, è la sua prova qui nel personaggio frammentato di Mima Kirigoe è un altro tassello che parla dell’epoca in cui Perfect Blue venne concepito e realizzato.
Cosa non avevamo capito di Perfect Blue nel 1997
Visto oggi, Perfect Blue è un film che ha dell’impossibile. Già all’epoca del suo esordio si capì che questo giovane regista era un cineasta, già maturo, già formato, una voce importante. Uno che con al fianco un mostro sacro come Katsuhiro tomo tira fuori dal cappello un film che è animato perché è l’unico mezzo con cui restituire con precisione e potenza le visioni che ha nella propria testa.
Poteva, doveva essere un film con interpreti in carne e ossa, ma Kon passò all’animazione quando capì che per esplorare a fondo al psiche della giovane idol Mima Kirigoe la realtà sarebbe stata un impiccio, con i suoi limiti fisici, matematici. Così passa all’animazione, che gli permette di fare dentro e fuori la percezione della realtà di una cantante pop, una idol, che decide di tentare la strada della recitazione.
Una scelta di carriera rischiosa, che sdoppia l’immagine pubblica della protagonista, ma anche della sua percezione di sé. Non più vocalist carina e dall’immagine innocente, Mima deve ripartire da zero in un mondo dello spettacolo che abusa di lei, più o meno letteralmente. Così i confini tra la Mima privata, l’attrice all’esordio e la ex cantante rimpianta dai fan della sua band si assottigliano, la percezione di dove finisce la recitazione e dove iniziano gli omicidi e la violenza si appanna.
La sfarinatura della realtà dentro la psiche, lo sciabordio dell’inconscio nella realtà sono alla base dell’ultima fiammata del genere thriller, propria di questi anni. Aggiungiamo le prime importanti intuizioni di Kon sul neonato mondo virtuale e sul suo impatto sulla percezione e sulla manipolazione dell’immagine delle persone pubbliche. Se ne ricava un film che è estremamente rappresentativo della sua epoca. Si respira profumo di fine anni ‘90.
Al contempo però solo oggi è chiaro quanto Kon si muovesse almeno due decenni in avanti rispetto ai suoi contemporanei. Mima è una giovane seducente presa di mira da un assassino spietato, ma è lontana anni luce dalle belle e dannate di Brian De Palma, da una miriade di protagoniste che tendono a essere oggetto del desiderio del killer. Mima è protagonista e soggetto che vede, immagina, allucina. Il film ci mette davanti a una scena fortissima, agghiacciante, di stupro. Agghiacciante perché trasforma in carne la mente dalla cui prospettiva stiamo vivendo questo incubo lucido. Agghiacciante perché è l’ultimo ed estremo tassello di una violenza sistematica che è connaturata alla scalata del successo, in cui ognuno prende un pezzettino di Mima, la costringe a scelte che presenta come obbligate, la sprona ad abbracciare un’immagine più adulta e al contempo sminuisce l’impatto di quella che viene inferta come una degradazione.
Il discorso che Perfect Blu fa della percezione di un corpo femminile pubblico, interpretato da manager, fan e colleghi come disponibile e sfruttabile, oggi ci appare quasi ovvio, ma ci sono voluti trent’anni per arrivare a questo punto e ancora molta resistenza viene opposta allo stesso. Satoshi Kon raccontava già tutto questo nel 1997.
Purtroppo ora che siamo arrivati a cogliere appieno la potenza della sua critica, Il regista di Perfect Blue non è più con noi. Questo film è stato l’inizio di una breve carriera che con un pugno di film ha spostato di qualche millimetro la traiettoria del cinema, per arrivare dove siamo oggi, al punto in cui ci voltiamo e vediamo Kon nel nostro passato, ma ne sentiamo la voce nel nostro presente, perché quello che aveva da dire, il come lo ha detto, continua a parlare nel nostro presente, a essere rilevante, importante.