Peter Pan & Wendy, recensione: la magia lascia l’Isola che non c’è

Grazie al carisma registico di David Lowery, con Peter Pan & Wendy Disney ottiene un film imperfetto, ma che non si limita a copiare il predecessore animato senza un’idea e un’identità sua.

di Elisa Giudici

Ormai siamo quasi rassegnati ai remake live action dei classici dell’animazione Disney. È una situazione di cui il pubblico si lamenta ma che contribuisce a creare e rafforzare, snobbando sistematicamente le nuove uscite originali in favore di storie e personaggi familiari.

Questo nuovo, poco entusiasmante capitolo della storia cinematografica disneyana è cominciato nel 2015 con la Cenerentola di Kenneth Branagh, che rimane tra le uscite migliori di un filone generalmente votato al ribasso qualitativo, con alcuni scivoloni davvero imbarazzanti. La bella notizia è che Peter Pan & Wendy è un progetto che poco ha da spartire con i suoi predecessori.

Ha una visione precisa della storia, tanto da mettere in discussione la lettura data dal classico animato di Walt Disney. Niente da obiettare: è più che naturale che alcuni passaggi di un film che sta per compiere 70 anni necessitino di una rinfrescata. Non è quindi un pigrissimo replicare il precedessore, come era accaduto per Il re leone realizzato in CGI. Il merito, appare evidente, è sopratutto del regista David Lowery.

In qualità di sceneggiatore, ha lavorato ad anni a una sua versione della storia di Peter Pan e Wendy, messi sullo stesso piano sin dal titolo del film (per saperne di più in merito, puoi leggere l’approfondimento dedicato al making of di Peter Pan & Wendy). Lowery, a suo agio nel territorio fantastico, ma deciso dunque di riguardare alla storia originale, evitando la riscrittura del classico animato.

La storia cinematografica di Peter Pan infatti è composta da molti film che hanno tentato lo stesso passo, per lo più criticati proprio per l’incapacità di dare allo spettatore una lettura soddisfacente. Non è semplice fare quel che ha realizzato Del Toro con il suo suo Pinocchio animato. Peter Pan rimane l’archetipo del bambino che non vuole crescere e del mondo incantato in cui vive ed è difficile tirarlo fuori da lì senza tradirlo.

Lowery arriva dopo due colleghi come Steven Spielberg e Joe Wright a mettere mano a un testo e una storia capace di ispirare adattamenti spesso innovativi e coraggiosi, ma che ma per molti versi hanno finito per essere fallimentari.

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Di cosa parla Peter Pan & Wendy

Sin dal titolo questa versione dell’Isola che non c’è tenta di mettere sullo stesso piano Peter e Wendy. La ragazzina è sempre stata il punto di vista sulla storia di Peter. Nelle incarnazioni precedenti però il suo sguardo trasmetteva fascinazione e stupore rispetto alla vita di Peter.

Stavolta invece prima di incontrare Peter siamo trascinati dentro il punto di vista di Wendy rispetto alla sua esistenza di adolescente. Più grandicella del solito, questa Wendy (Ever Anderson) esprime il desiderio di smettere di crescere, ma da subito è in grado di vedere tutti i limiti della vita condotta dal suo salvatore Peter Pan.

Questo Peter Pan (Alexander Molony) è meno giocoso del passato e restituisce davvero il senso di un essere sovrannaturale e a tratti incomprensibile, esattamente come la Campanellino che l’accompagna. Peter Pan ha abbandonato la sua natura umana così tanto prima da esserne a tratti dimentico. C’è un’autentica dose di anarchia in lui, perché è figlio di una scelta radicale - quella di non crescere - che non ha mai più messo in discussione.

In questa prospettiva assume enorme importanza il suo rapporto con James Hook, il capitano Uncino interpretato da Jude Law. Il capo dei pirati invece è il fulcro dell’umanità del film, più sperduto dei bambini perduti, consumato dal rimpianto e dal senso di tradimento. Lui e Peter sono due facce della stessa medaglia, i due pilastri fondativi dell’isola che non c’è. Sul loro conflitto sembra basarsi la stessa esistenza dell’isola.

Cosa funziona e cosa no in Peter Pan & Wendy

Quello di Lowery è un Peter Pan sorprendentemente malinconico, che sembra parlare più a chi conosce bene i compromessi e i rimpianti dell’età adulta che l’inconsapevolezza giovanile. Jude Law guida il film con un’interpretazione che sfiora appena il registro del comico, rivelandosi poi l’ennesimo studio cinematografico in chiave psicoanalitica di un film del 2023.

Lowery fa di necessità virtù. Nel 2023 ogni cattivo deve avere un’ottima motivazione per essere tale. Sembra inconcepibile, paradossalmente diseducativo avere su grande schermo un cattivo che è tale per il semplice gusto di farlo.

I presupposti stessi della storia di Peter Pan suggeriscono la via più battuta dai film degli ultimi mesi: il trauma e il lento percorso psicologico che porta ad affrontarlo e a superarlo. Vuoi per la sua levatura attoriale, vuoi perché ha di gran lunga il personaggio più interessante per le mani, Jude Law fa suo il film, relegando insieme a Wendy Peter Pan ai margini della storia, sin quasi a farci sospettare che il cattivo, in fondo in fondo, potrebbe essere lui.

Nemmeno Lowery può spingersi in territori tanto radicali, anzi. Il film ha davvero ben poca polvere magica, impegnato com’è a raccontare la forza dei suoi personaggi femminili e la solidarietà nascente tra di loro.

Presentato nella solita fotografia parzialmente desaturata e con un aspetto da girato digitale, Peter Pan & Wendy sfrutta solo in parte la bellezza delle location (Scozia, Irlanda e Isole Faroe) dove è stato girato. A livello visivo e narrativo si dimostra così pragmatico, così realista da farci dubitare della stessa esistenza della magia. L’escapismo e il senso di avventura del classico animato sono sostituiti da un livello di conflitto tra personaggi più marcato e da una sensazione di pericolo che irradia dagli scontri con i pirati.

In ultima analisi, è un film carismatico abbastanza da riuscire a scrivere una sua versione della storia non ricalcando sentieri già percorsi, ma non riesce a mettere bene a fuoco ciò che d’importante ha da dire, risultando privo della magia necessaria a far funzionare questa storia.