Peterloo

di

Cinema e Inghilterra sono contraddizioni in termini, due parole che non dovrebbero mai trovarsi in una stessa frase’.

A pronunciare questa altezzosa ed enigmatica frase fu François Truffaut, cineasta francese e (soprattutto) uno dei padri della Nouvelle Vogue, il genere che più ha scardinato i principi narrativi e linguistici del mezzo cinematografico negli anni '60 del secolo scorso. La critica contenuta nella frase era, sì rivolta all'Inghilterra in sé (quanto non scorra buon sangue tra le due rive della Manica ce lo ricordò benissimo John Landis nel suo Un lupo mannaro americano a Londra), ma soprattutto a un certo modo di intendere il cinema: pomposo, retorico e poco sbarazzino.

Viaggio negli studi 4A

Da questo punto di vista il cinema britannico (pieno zeppo di gentiluomini in abiti da sera e di film su Lady Hamilton tanto osannati da Winston Churchill) appariva una obiettivo perfetto da colpire e da affondare in nome del vento della novità. In realtà la produzione del Regno Unito, col tempo, è anche riuscita a svecchiarsi (basti pensare al free cinema britannico, a cineasti come Tony Richardson ed all'impegno sociale di registi come Ken Loach), ma l'impalcatura è sempre stata la stessa. Quella che in un efficace titolo di un documentario (sul backstage de L'ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci, anche quello era un film inglese) veniva definita come ‘la nostalgia di un kolossal’. Momenti di gloria, Gandhi di Richard Attenborough, tutta la filmografia di David Lean dal 1957 in poi: tutto questo è il cinema britannico. Ed in questa ottica si inserisce l'ultima opera di Mike Leigh: Peterloo.

Peterloo è tratto da una storia vera. Anzi, racconta una vicenda spesso troppo sottaciuta della storia politica britannica. Parla di un massacro nel corso di un comizio politico, nel bel mezzo della battaglia per maggiori diritti da parte di quel proletariato che si stava formando col consolidarsi della rivoluzione industriale nel paese. L'evento fu reso noto (aspetto anch'esso caratteristico della storia britannica) dalla stampa che coniò il termine Peterloo sulla falsariga del massacro di Waterloo (i fatti si svolsero non lontano da Manchester, proprio a St.Peter's Field) e rappresentò uno spartiacque per il rapporto tra proletariato, contadini e possidenti.

Peterloo

L'idea di realizzare un film su questa vicenda storica appare una mossa sociale, quasi politica da parte del regista. E da un certo punto di vista risulta avere anche senso cinematografico. Leigh, infatti, nelle sue precedenti opere (basti pensare al suo biopic sul pittore Turner) si è sempre mosso secondo queste linee guida: rappresentare la storia del suo paese attraverso la potenza del kolossal, dei costumi di scena e di tutte quelle che cose che Truffaut odiava. Ma in questo caso il film rischia di fare un buco nell'acqua. E di scadere in un didascalismo fine a sé stesso (e quasi di impianto televisivo) quasi senza senso.

Il film ripercorre con una sagacia documentaristica tutto il fatto. E lo fa attraverso oltre due ore e mezza di pellicola: i contrasti con i possidenti terrieri, le riunioni delle prime associazioni operaie, i comizi dei primi oratori, e infine il terribile massacro finale. La linea guida che sembra caratterizzare questo lavoro di Leigh ricorda, sì, un impianto scenico e produttivo prettamente britannico e cinematografico. Ma quasi come se la tv avesse contagiato il grande schermo, quasi come se Peterloo fosse un'opera destinata più ad una prima serata (di mercoledì sera? Durante la Champions League?) per la BBC.

Gli stessi attori recitano dei copioni e delle parti non cinematografiche, ma quasi teatrali. E sembra a tratti (per esempio sul fronte della colonna sonora, pressoché inesistente o comunque volutamente piatta per non dare scossoni ad una linearità narrativa che deve necessariamente rispecchiare una realtà effettivamente avvenuta nel passato) di ritrovarsi di fronte a Ugo Cardea nel Cartesius di Roberto Rossellini, a La presa del potere da parte di Luigi XIV e a tutti quei film volutamente scolastici che il padre del neorealismo italiano decise di realizzare negli anni '70 per conto della tv di stato. Da questo punto di vista non c'è spettacolo, non c'è introspezione in questo Peterloo. Ma solo una cruda ed accurata narrazione dei fatti.

Per quanto questo film intenda orgogliosamente farsi portatore di tutti quei valori che hanno sempre caratterizzato il cinema inglese, Leigh non si rende conto che sta tradendo per paradosso uno di quegli stessi principi che hanno reso celebre la produzione cinematografica britannica all'estero: l'analisi della condizione umana e della sua psicologia, per esempio. Ma anche i mutamenti dell'animo e l'impossibilità di esprimere emozioni. Tutto questo manca in Peterloo. E se manca questo, lo spettacolo (spiace dirlo) per quanto ben congegnato, non sarà mai completo.

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