Piece by Piece, la vita di Pharrell è un LEGO

La brillante intuizione (merito di Pharrell?) dei mattoncini LEGO trasforma un biopic tutto sommato ordinario in esperienza visiva unica

Piece by Piece la vita di Pharrell è un LEGO

Da anni, lustri, forse decenni, il dibattito intorno all’animazione occidentale verte sulla sua mancanza di ambizione di diventare genere trasversale all'età e il recente ampliamento della proposta di animazione dall’oriente sulle piattaforme di streaming non ha fatto altro che acuire questa percezione. Basta scrollare un catalogo a caso per rendersi conto che, se in occidente l’animazione è considerata roba per ragazzini con rarissime eccezioni, in oriente l’animazione è semplicemente un mezzo espressivo tra i molti, con i suoi generi e i suoi target, che includono spesso anche gli adulti. Mentre qualcuno si è fermato proprio prima del grande salto (sì, Pixar, ce l’ho con te), Morgan Neville ha deciso di ignorare i passaggi evolutivi, prendere l’animazione e lanciarla direttamente nel genere documentaristico con il suo Piece by Piece, un biopic raccontato attraverso mattoncini LEGO.

 Non ci potrebbe attendere nulla di meno originale da un connubio tra due artisti In realtà simili: Neville è regista con un Oscar sulla mensola e una solida carriera alle spalle, mentre Williams è uno dei creativi più brillanti e crossmediali dei primi anni del millennio.La leggenda (raccontata anche all’interno della pellicola) vuole che in realtà l’idea non sia stata di Morgan Neville, bensì di Pharrell Williams, protagonista e oggetto dell’attenzione del documentario. Probabilmente è andata davvero così, Pharrell ha avuto questa intuizione che a suo dire gli consentirebbe di raccontarsi dall’esterno, come se non stesse parlando di se stesso, e ha convinto regista, produttori e LEGO a imbarcarsi in una produzione che altrimenti senza il suo coinvolgimento diretto non avrebbe mai visto la luce. È una storia senza dubbio credibile, ma quanto possiamo fidarci?

Una vita un pezzo alla volta

Sotto l’animazione nello stile delle produzioni LEGO sul grande schermo, che sovrascrive anche i loghi della produzione nei titoli di testa, Morgan Neville mantiene la struttura classica da documentario, ma anche grammatica e tempi. Risulta evidente fin dalla primissima inquadratura: la camera segue il LEGO Pharrell inquadrato di spalle che si aggira per casa, come in un dietro le quinte, mentre chiede alla moglie di occuparsi dei bimbi e poi si sistema in una stanza dove due sedie da regista sono pronte ad accogliere lui, Neville e la loro chiacchierata.

Piece by Piece, la vita di Pharrell è un LEGO

Lo schema narrativo è quello classico del documentario: le umili origini, l’esplosione sulla scena, il declino che coincide con una crisi creativa e infine la riscoperta di se stessi che conduce al ritorno in vetta. Le tappe ci sono tutte. Il rapporto di Pharrell con la scuola non è dei migliori, ma il sobborgo di case popolari in Virginia in cui vive è un pentolone di creatività che ribolle costantemente. Tra le classi del liceo e le strade del quartiere Pharrell incontra e frequenta Pusha T, Missy Elliot, Timbaland, ma soprattutto Chad Hugo e Shay Haley, due nomi fondamentali per i futuri The Neptunes. La svolta arriva con lo sbarco inatteso di Teddy Riley (colui che si è inventato i Backstreet Boys, per capirci) a Virginia Beach.

Il decollo della carriera di Pharrell Williams da quel momento in poi è verticale, ma evidenzia anche uno dei principali limiti della produzione, a cui ha partecipato lo stesso Pharrell, che per ovvi motivi glissa su ogni possibile controversia. Nulla emerge ad esempio su come si sia risolto il rapporto con l’appena citato Riley e persino il temporaneo allontanamento tra Pharrell e Chad Hugo viene presentato come un evento che semplicemente è accaduto, senza una vera motivazione, benché rappresenti un momento abbastanza centrale nell’economia del biopic. Ci sono però altri esempi anche recenti di documentari, penso a The Last Dance di Netflix, in cui un approccio un po’ agiografico è compensato da altre qualità della produzione. E se nel caso di The Last Dance questo elemento era l’intensità emotiva, l’equivalente in Piece by Piece è l’uso e la rappresentazione dell’immaginazione.

Piece by Piece, la vita di Pharrell è un LEGO

Piece by Piece voleva il potere alla fantasia

Quel che racconta Piece by Piece, insomma, è una storia di successo attraverso un formula collaudata. Come lo fa, invece, non ha nulla di ordinario. A partire dal doppiaggio che quantomeno in originale è piuttosto audio registrato in presa diretta durante le interviste a Pharrell e a tutti i parenti, amici e collaboratori che si sono prestati ad apparire trasformati in mattoncino nel film. L’effetto è decisamente diverso rispetto a quello dei film di animazione a cui siamo abituati, paradossalmente più realistico durante le interviste frontali e le riprese dei backstage, mentre durante la riproduzione di concerti o esibizioni già viste in video tutto ha inevitabilmente un effetto più buffo.

Piece by Piece, la vita di Pharrell è un LEGO

Piece by Piece gioca bene su questo contrasto e sul più generale effetto commedia garantito dall’uso dei mattoncini legandoci alla perfezione il tono trasmesso da Pharrell alla pellicola, ovvero un inno alla positività simile a quello di Happy. Spiccano quindi tra i numerosi ospiti illustri del biopic coloro che si sono prestati a un’interpretazione più giocosa del loro ruolo come Snoop Dogg, ma nell’ottica della disponibilità alla partecipazione si può leggere anche la rilevanza data ad alcuni eventi invece di altri.

A rubare in ogni istante la scena a qualunque altra considerazione è però l’immaginario tradotto in mattoncini da Neville e dal lungo elenco di animatori e VFX specialist citati nei credits. Piece by Piece prende le potenzialità espresse dal capostipite dei mattoncini al cinema, The LEGO Movie e la sua martellante (Everything is) Awsome, e lo eleva a potenza. Il team di Neville rispetta il canone dell’animazione LEGO, ma ne esplora i limiti, azzardando composizioni più elaborate come ad esempio nel caso animali e e altre parti delle scenografie.

La molla che consente a Piece by Piece di spiccare un balzo oltre i propri limiti è la sinestesia, ovvero il peculiare fenomeno percettivo attraverso cui Pharrell Williams “vede” la musica. Dalla prima volta da ragazzino davanti allo stereo fino alle hit planetarie è un crescendo in cui l’ingresso dei un beat prelude a un viaggio sensoriale tra suoni e immagini che passano da astrazioni a concerti, da video di MTV a interviste, mentre i confini e gli uni e gli altri si confondono e gli occhi degli spettatori brillano.

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