Planet B, la prigione nella mente – La recensione
La recensione del lungometraggio che ha aperto la Settimana della Critica a Venezia, per la regia di Aude Léa Rapin, un thriller sci-fi distopico ambientato nella Francia del 2039
Francia, 2039, un gruppo di eco-terroristi sfida il regime dittatoriale che li opprime. Tra di loro l’attivista Julia Bombarth (Adèle Exarchopoulos). Durante una missione di sabotaggio notturna, il suo gruppo viene scoperto dai droni della milizia e catturato dopo un violento scontro a fuoco. Al loro risveglio si ritrova in una splendida villa in riva al mare, ma si tratta di una realtà effimera, fittizia, poiché il luogo in cui sono finiti loro malgrado non è che un costrutto virtuale studiato per rinchiudere i prigionieri politici e dove torturarli per estorcergli informazioni, chiamato Pianeta B, come indicato dalla lettera marchiata a fuoco che ognuno degli inquilini della villa presenta sulla tempia.
Di giorno un posto placido, circoscritto da muri invisibili che impediscono la fuga, di notte un luogo da incubo che tormenta con visioni raccapriccianti le sue vittime, per spezzarne lo spirito e metterle le une contro le altre. Trarsi in salvo sembra un proposito futile, ma ecco arrivare un aiuto insperato dall’esterno, quando la giornalista irachena Nour (Souheila Yacoub) entra in possesso di uno dei visori usati dall’esercito per connettersi al Pianeta B, instillando il seme della ribellione in Julia e smuovendo le acque in una realtà asservita al sistema.
In questo sci-fi prettamente al femminile, appare subito evidente il contrasto tra il mondo reale, distrutto ma tangibile, morente eppure nel suo piccolo ancora speranzoso (Nour è infatti alla ricerca di un nuovo ID con cui fuggire in Canada, i membri della resistenza si sono subito attivati tramite forum underground per cercare i loro compagni dispersi...), e l’inquietante villa, tanto idilliaca quanto statica, innaturale, con i suoi repentini passaggi dal giorno alla notte e viceversa, e il silenzio assordante che la circonda. Tolta la sequenza iniziale è un film piuttosto scarno di scene d’azione, ma la tensione viene mantenuta alta dalla colonna sonora di Bertrand Bonello, che richiama regolarmente all’attenzione gli aspetti più disturbanti della realtà virtuale in cui sono intrappolati Julia e i suoi commilitoni.
Commilitoni che in tutta onestà non riescono a reggere il passo delle due protagoniste, rivelandosi accessori e spesso confusi nel modo di esprimersi. Il Pianeta B vuole essere questo luogo di torture inenarrabili, dove le sofferenze inflitte agli individui, tramite violenza “fisica” e psicologica, si mischiano al sospetto che serpeggia tra animi, tuttavia questo lato introspettivo non viene mai davvero a galla e finisce per regalarci meri battibecchi fra i presenti tra il faceto e il surreale. Non aiuta il fatto che le presunte torture non vengano mai davvero mostrate allo spettatore, che quindi fatica a empatizzare con il cast, che inizia a svalvolare nel giro di pochi giorni dall’arrivo alla villa.
Fuori dal mondo virtuale, l’operato di Nour è sicuramente più interessante, con il suo lavoro come addetta alle pulizie presso la base militare di turno (eseguite secondo procedure abbastanza strambe, ma questo è un altro discorso), il suo interfacciarsi con la broker Hermès (Eliane Umuhire) e il piano per risalire alla posizione degli attivisti scomparsi sfruttando il visore rubato come backdoor per comunicare con Julia e le sue conoscenze. È in questo segmento centrale che la pellicola assume i connotati di un thriller, una corsa contro il tempo per salvare i rapiti, le cui condizioni mentali peggiorano giorno dopo giorno, prima che l’ID di Nour “scada” (e qui sarebbe stato quantomeno opportuno scoprire cosa accade ai malcapitati che si ritrovano senza).
L’idea è di sicuro allettante e la premessa in generale del lavoro di Aude Léa Rapin degna di attenzioni, ma non possiamo fare a meno di notare come manchino dei pezzi all’intreccio che avrebbero potuto il film più scorrevole e completo a livello informativo. Non vediamo mai ad esempio cosa combini di bello l’esercito per attirarsi le ire del gruppo terroristico di cui fa parte Julia, la componente sci-fi si limita all’esistenza del Pianeta B, mentre per il resto restiamo abbastanza con i piedi per terra (sì, sono solo 15 anni nel futuro, ma mi aspetto qualcosina in più rispetto a telefoni e laptop incastonati di chip alla rinfusa), e come già anticipato prima non assistiamo mai direttamente l’agonia a cui sono sottoposti gli inquilini della villa, se non qualche visione accomunabile ad un incubo, ma nulla di così raccapricciante (o forse è solo il sottoscritto ad avere una soglia di tolleranza particolarmente elevata, chissà NdR).
Il pacing che ne deriva è abbastanza lento, con diverse sequenze che non sembrano andare da nessuna parte, in particolar modo nel mondo virtuale, e questo non gioca a favore di uno screentime di oltre due ore. Ciononostante il finale dell’opera risulta frettoloso e buttato lì, con un ultimo atto che arriva all’improvviso e lascia spazio a molti dubbi su come si siano effettivamente svolti i fatti, tra relazioni accelerate e cattivi che semplicemente escono di scena, rimpiazzati da una cavalleria che arriva non annunciata, ma neanche lasciata intendere. Come se la critica ai rischi di una realtà aumentata iper-realistica nelle mani sbagliate avesse ormai fatto il suo corso e non restasse altro da dire. Un pensiero purtroppo già elaborato in altre opere e in altri media con un impatto decisamente migliore. Le basi ci sono, ma non convince appieno.