Quando una favola si fa metafora di ciò che significa amare davvero: ecco trama e recensione di Tremila anni di attesa
Una favola, un’esperta di storie, un Genio: Tremila anni di attesa inizia così, per mostrarci come possiamo dire di amare davvero e cosa serva, nella vita, per vivere in serenità.
Chi non ha mai sentito la storia del genio uscito dalla lampada e dei tre desideri che concede a chi lo libera? Chi non ha mai pensato a quali desideri - stando alle regole ferree che impediscono la moltiplicazione dei desideri e l’immortalità - avrebbe voluto esprimere? È un pensiero senza età, una riflessione che coinvolge i bambini e gli adulti, una scelta che cambia nel tempo, in base a ciò che la vita ci riserva.
George Miller, il padre della saga fantastica di Mad Max, torna dietro la macchina da presa 7 anni dopo Mad Max: Fury Road per raccontarci non solo la sua versione della favola più celebre di sempre, ma anche le sue conclusioni sulla vita, l’amore, l’essere imperfettamente umani.
Domenica 5 novembre su Sky Cinema Due, e in streaming su NOW, arriva in prima visione TV Tremila anni di attesa: il film più importante che possiamo vedere e ascoltare attentamente in questo preciso momento storico.
La trama di Tremila anni di attesa
Narratologa. Così si definisce la stessa narratrice, la professoressa Alithea Binnie (Tilda Swinton, vincitrice di un Oscar per Michael Clayton), asserendo di raccontare una storia vera che ci risulterà però più credibile sotto forma di favola.
Alithea è appassionata di racconti. Amante dei viaggi e della storia. Innamorata delle favole e dei racconti. Esperta di narrazione e appassionata di essa.
Si reca in Turchia per partecipare a una conferenza in cui spiega come raccontare storie fosse, una volta, l’unico modo per spiegarsi tutti gli eventi che non si conoscevano, dall’orbita terrestre agli tsunami.
Mentre la conferenza si fa interessante e i moderni fumetti vengono presentati come vestigia di tutte quelle storie, di quella mitologia, la dottoressa si rivolge alla platea e all’improvviso vede un personaggio di fronte a lei. Una creatura che nessun altro sembra percepire. Svenuta sul palco, la donna minimizza con il collega, e afferma di tendersi da sola delle imboscate dalla propria immaginazione, un avvertimento per lei. Affinché non stia troppo ad analizzare razionalmente ciò che la mente vuole solo immaginare.
Poco dopo, in un negozietto di Istanbul trova un souvenir. Una bottiglietta di vetro… Dalla quale, in albergo, uscirà un genio (Idris Elba, Luther) per offrirle i tradizionali tre desideri. Un ringraziamento, ma anche una condizione necessaria per la sua liberazione. Alithea però non si fida. Non crede esistano desideri sicuri, non ingannevoli, che non ti si ritorcono contro. Così, mentre ci pensa, il Genio e la narratologa si raccontano le reciproche storie. Dalla notte dei tempi ai giorni nostri…
La recensione di Tremila anni di attesa
Scritto, diretto e prodotto da George Miller, Tremila anni di attesa è una favola moderna, per adulti, con il fascino delle fiabe delle mille e una notte.
Parla d’amore, di sacrificio, di rinuncia, di giustizia, di umanità. Parla di mondi incantati e d’imperi caduti, di immaginazione e di come questa possa fare la differenza nella vita delle persone. Parla di storie, di libri, di conoscenza, di arte. Tremila anni di attesa parla di tutto ciò che di buono ha fatto l’uomo da quando è comparso sulla Terra, ma anche del suo egoismo e della sua capacità distruttiva.
Miller ci racconta l’incontro e l’inevitabile scontro di due mondi, tramite la storia di due creature di natura diversa che condividono lo stesso posto: il pianeta Terra.
Attraverso la storia, in un’ode al genio, all’imperfetta natura, all’incapacità sentimentale e al tempo stesso a quella incomparabile presenza che è l’essere umano, un Genio e un’esperta di storie s’incontrano.
Lei ci racconta, in veste di narratrice, una storia a suo dire vera ma troppo fantasiosa perché chi ascolta possa credere che lo sia, utilizzando l’espediente che conosce meglio e che tutti capiscono: quello delle favole. Naturalmente, la premessa narrativa ci porta a una metafora. Una riflessione sulla storia, la solitudine e l’amore, la difficoltà di sognare davvero in un mondo rumoroso e inquinante, e il relativo bisogno di evadere rifugiandosi nelle fiabe.
Tremila anni di attesa ci regala un’ora di magia. Di sogno a occhi aperti. Di favola vera, nel più stretto senso del termine… Fino a quando tutto svanisce. Nel momento stesso in cui un Genio, creatura magica, viene in qualche modo legato alla realtà terrena, umana, perde tutta la sua capacità di farci sognare.
È colpa nostra. Siamo noi. Siamo destinati a distruggere ogni cosa, perfino la più magica e antica. Anche quando non siamo cattivi, siamo egoisti. Pensiamo sempre e solo a noi stessi. Siamo incapaci di rinunciare alla nostra felicità anche quando va a scapito di altri. Magari involontariamente. Magari consapevolmente.
Il risveglio nella realtà
Il momento del risveglio dall’idillio, del duro impatto con la realtà del mondo che ci circonda - e che ci siamo costruiti - fa tremare le fondamenta stessa della narrazione. Sia quella del film che quella dietro alle favole così magiche per noi.
Urge trovare un compromesso: è questa la morale - è proprio il caso di dirlo - della favola. Non possiamo avere tutto. Dobbiamo sacrificare qualcosa, scegliendo ciò che è meglio per noi ma anche ciò che è meglio per gli altri, in particolare per le persone che amiamo.
Si dice sempre che il vero amore corrisponda all’esigenza di sapere che la persona amata sia felice. George Miller pensa che sia vero, e io sono d’accordo con lui.
Ma a prescindere da come la pensate, sappiate che Tremila anni di attesa vi farà riflettere sulla questione in modo talmente spontaneo, naturale e onesto che ne resterete stupiti.
Tramite le storie di Saba e di Salomone, del Sultano Solimano e del Principe Mustafa, di Gulten e di Zefir, il film ci intrattiene e ci incanta, fortemente aiutato da una colonna sonora di rara perfezione.
Senza Tilda Swinton e Idris Elba, questo film non sarebbe stato ciò che è: un’immersione nella fantasia e un risveglio dall’illusione, al tempo stesso.
Divertente, bizzarro, inusuale, ma soprattutto infarcito di dialoghi intelligenti, incentrato sull’ascesa e la caduta di imperi, apertamente ostile al bodyshaming senza nemmeno di dirlo, tanto fa passare tutto come qualcosa di naturale…
Questo film parla di femminismo - con la versione femminile di Leonardo Da Vinci che non ha voce solo in quanto donna - parla di intolleranza (con le due odiose vicine di Alithea), parla di oggi e di ieri. E lo fa in un modo che solo un’immaginazione come quella di George Miller, che ha sceneggiato il film insieme ad Augusta Gore a partire da un racconto breve di A.S. Bryatt, avrebbe potuto regalarci. Un’immaginazione visiva e narrativa, concreta e sognante, attuale e passata. Come se fosse… Una specie di magia.