Recensione Aladdin

Missione compiuta, Mr. Ritchie

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Che la Disney ci abbia abituato alla trasposizione (questa volta con attori in carne ed ossa) dei suoi più celebri classici Disney secondo il canone ufficiale (da poco è uscito Dumbo, ed è in arrivo anche il Re Leone) è qualcosa di noto ai più. Meno scontato (e sopratutto meno conosciuto) è invece il lavoro autoriale e per certi versi artigianale che la Disney cerca di proporre in questo controverso e lungo filone. Sopratutto per quanto riguarda la regia cinematografica.

Se per Cenerentola si inserivano i connotati shakesperiani alla Kennet Branagh e in Dumbo si è scelto il tocco immaginifico dell'ex collaboratore (ricordate Taron e la Pentola Magica?) Tim Burton, questa volta per Aladdin si è selezionato per la regia il "mestierante di blockbuster" Guy Ritchie.


Ma possiamo ben dire che di fronte ad un certo protagonismo del regista (che ha contribuito anche alla fase di sceneggiatura del film, aspetto anomalo in produzioni con queste caratteristiche) due possono essere considerati i fautori della riuscita di questo Aladdin: lo stesso Guy Ritchie e l'attore-mattatore Will Smith. Che grazie al suo tocco ha senz'altro fornito alla pellicola quegli elementi di contemporaneità che rendono Aladdin un film che fa centro.

In primo luogo, perché riesce ad intrattenere con gusto.

Nel 1992 l'uscita di Aladdin fu una piccola grande sfida per la Disney. Con La Sirenetta del 1989 si era dato vita al Rinascimento Disney, capace di andare oltre i fallimenti di critica e pubblico degli anni '80. Ma dopo solo tre anni (e a seguito del grandissimo successo de La Bella e la Bestia) la casa di produzione dovette fare a meno di uno dei principali artefici di questo successo come Howard Ashman, il geniale autore dei testi dei brani scritti da Alan Menken. Dal 1989 i film Disney sono quelle note, sono quelle musiche.


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Per la prematura morte del paroliere, a Menken viene affiancato dunque un fuoriclasse acclamato come Tim Rice, già collaboratore di Lloyd Weber e autore dei testi di Jesus Christ Superstar. Da questa collaborazione Menken-Rice uscirà fuori un film di successo come Aladdin, capace di immergere il pubblico nelle atmosfere (anche se un po' stereotipate) del Medio Oriente e del brano Premio Oscar "A new whole world".

Come lavorare su questo impianto storico-stilistico per la realizzazione di un film con attori veri e propri? Il perno da cui parte Ritchie è senz'altro Will Smith, l'unica vera star del film, che nel ruolo del Genio gigioneggia come non mai, ma sopratutto fornisce un contributo musicale alla pellicola da non sottovalutare.

Infatti la scelta di Ritchie (a differenza del Dumbo di Burton) è quella di riproporre sul grande schermo tutti i brani che hanno reso celebre il cartone animato (Le notti d'oriente, Grande Alì Principe Alì, Un amico come me, Il mondo è mio) dando vita ad interessanti arrangiamenti in cui al cambio di tonalità (nei brani senza Smith) corrisponde una rivisitazione (quasi hip hop, quasi da musica black, quasi come nella colonna sonora del primo Men in Black) nella parti in cui padroneggia il personaggio del Genio.

Tutto Appare dunque come una intelligente declinazione contemporanea (ma verrebbe quasi da dire "da grandi") per un film comunque uscito 26 anni fa (e in cui non mancavano riferimenti alla tradizione del cinema americano, come i riferimenti a Robert De Niro). A questa visione contemporanea della favola de Le Mille e una notte, seguono delle maggiori caratterizzazioni di alcuni personaggi.


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La figura di Jafar è maggiormente analizzata rispetto al cartone animato, e pur mantenendosi un temibile "villain" la sua personalità viene proposta secondo un'ottica meno manichea e per certi versi più realistica. Non si può dire lo stesso del pappagallo Iago, vero punto debole dell'intreccio e con un ruolo veramente subalterno rispetto a quello dell'antagonista principale della pellicola.

Ritchie gioca con i generi ed inserisce in questa favola interi pezzi musicali che in certi casi (come nel finale) giocano sulla scia di Bollywood e sull'emergente cinema asiatico.  In quest'ottica appare addirittura un brano musicale inedito interpretato dal personaggio di Jasmine (Naomi Scott) che pur avendo degli ottimi spunti dal punto di vista musicale si colloca nel bel mezzo della fase "MeToo" ed invita ad un certo protagonismo del genere femminile sia per quanto riguarda l'ambito sociale sia in quello più prettamente politico (ebbene sì, la bellissima Jasmine non aspira soltanto a sposare piccoli ladruncoli, ma vuole assumere addirittura il ruolo di Sultano).

Quest'ultimo aspetto, è la vera e propria croce e delizia del film: quanto un momento di "girl power" come questo appare come una vera e propria forzatura? Quanto invece è apprezzabile nella misura in cui porta la fiaba di Aladdin dritta dritta nei giorni nostri? In tutto questo lo spettacolo, la musica, i costumi, ci sono tutti.

Missione compiuta, Mr. Ritchie. 


Recensione Aladdin
4

Voto

Redazione

Recensione Aladdin

La trasposizione in carne ed ossa del cartone animato del 1992 (ad opera di Guy Ritchie) risulta essere di gran lunga la più convincente degli ultimi anni nell'ambito di questo filone Disney. Tra protagonismo femminile, interessanti sfaccettature e rivisitazioni in chiave contemporanea.

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