Recensione Cafarnao - Caos e miracoli

Dall'inferno libanese agli Oscar 2019

di Elisa Giudici

Secondo quanto tramandato dai Vangeli, Cafarnao è la cittadina della Galilea nei pressi del lago di Tiberiade dove Gesù cominciò la sua predicazione e destò scalpore compiendo numerosi miracoli, tra cui la guarigione dei lebbrosi. Andò tra gli ultimi senza rimedio, i più poveri e derelitti della scala sociale, e portò loro la speranza, la guarigione, l’affetto.

Il collegamento con il nuovo film di Ladine Nabaki, regista libanese approdata agli Oscar 2019 proprio grazie a questa pellicola, non è immediatamente esplicito, almeno in lingua italiana. In inglese il nome della cittadina viene spesso utilizzata come sinonimo di caos, marasma senza fine e senza rimedio, un po’ come in italiano si usa l’espressione “è una babele”, ispirandosi all’Antico Testamento. Cafarnao è un inferno di povertà e criminalità da cui è impossibile uscire.


Nulla sembra cambiato a Cafarnao, o quale che sia la cittadina libanese senza nome in cui si svolgono le drammatiche vicende del protagonista Zain. Senza documenti, senza un’età precisa, senza amore, il ragazzino vive con una famiglia che non esita a farlo lavorare duramente, a tenerlo lontano dalla scuola (nonostante possa garantirgli, ancor prima di un’educazione, cibo a sufficienza, vestiti consoni e la mera sopravvivenza non sempre assicurata tra le quattro mura domestiche), a trattarlo come una nullità.

Rubacchiando per sopravvivere, rispondendo per le rime agli adulti con orrendi improperi chiaramente spesso a lui indirizzati dai genitori, Zain ha sviluppato non si sa come una bussola morale. Cafarnao è la storia di come un ragazzino di 12 anni disperi di trovare un senso nella sua vita, tanto da finire in prigione per tentato omicidio, eppure riesca a rimanere fedele e leale a chi vuole bene, affrontando le bassezze del mondo degli adulti con grande dignità.


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Il film ha una risorsa incredibile dalla sua: un cast di attori giovanissimi molto capaci, tra cui spicca la performance incredibile di Zain Al Rafeea, il cui vissuto personale non è poi così distante da quello raccontato nel film. Solo per la sua interpretazione, il film vale la visione: una delle performance “giovanili” più intense e struggenti mai viste su grande schermo.

Chi tradisce le premesse e compromette il risultato del film è purtroppo la regista e sceneggiatrice Nadine Labaki. Non sempre riesce ad affrontare il drammatico contenuto del film senza scadere nella pornografia del dolore, artificiosa e fastidiosa.

Il problema principale però è che il film ha una cronologia molto confusa e, nella pasticciata parte finale, tradisce le sue stesse premesse. Cafarnao è una denuncia sociale durissima di come le condizioni estreme di povertà costringano rifugiati, immigranti e libanesi poveri a fare cose indicibili a sé e ai propri figli per sopravvivere.


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Il film però postula sin dall’inizio la differenza abissale che corre tra adulti che nonostante tutto cercano di garantire il benessere dei propri figli (come l’immigrata etiope disperata dall’essere arrestata e separata dal figlioletto Yonas, di cui si prenderà cura proprio Zain) e i genitori del protagonista, che non esitano a vendere la propria figlioletta 11enne a un piccolo commerciante in cambio di qualche gallina, condannandola a un matrimonio e una gravidanza precocissime e mortali.