Recensione Creed II

Adonis torna sul ring, ma stavolta il vero protagonista è Rocky...

Tre anni sono passati e la saga di Adonis Creed, sembra mantenersi su un buon livello di tenuta cinematografica. L'idea (nata come spin off dei film aventi come protagonista Rocky Balboa) vede la luce nel 2015 con la realizzazione di Creed - Nato per combattere, che vede al centro della storia il figlio di Apollo Creed, deceduto a seguito di un terribile match contro il boxeur sovietico Ivan Drago.

La pellicola del 2015 ottenne un ottimo riscontro di critica e pubblico e soprattutto ebbe il grande merito di rilanciare l'immagine di Sylvester Stallone, che per un soffio non si aggiudicò il Premio Oscar come miglior attore non protagonista nella cerimonia degli Academy del 2016.


Dal successo di questo film nasce Creed II. Dove si sviluppa ulteriormente non tanto la vicenda umana e sportiva del pugile Adonis (interpretato anche questa volta da Michael B. Jordan), ma soprattutto l'origine della saga e di questa nuova impresa produttiva. Ovvero, la storia di Rocky Balboa.

Il giovane Adonis infatti ha un nuovo potenziale rivale. Si tratta di Viktor, figlio del celebre Ivan Drago (Dolph Lundgren). Ed è questo elemento (che caratterizza tutto il film e che ci spinge dunque a non dare ulteriori anticipazioni sulla trama e sull'esito del match tra i due campioni) la chiave di volta di una pellicola che sviluppa un percorso narrativo in cui fiction e realtà produttiva si intrecciano, dando vita ad un prodotto che sa toccare le corde sia di chi cerca lo show, sia di chi cerca la citazione colta ed il rimando ad un passato cinematograficamente non tanto remoto.

Perché Drago è Rocky. Il suo alter ego, la rappresentazione di valori sociali e di un modo di intendere lo sport che ha fatto epoca. Nella presenza di Lundgren (che recita sia in lingua inglese sia in lingua russa, pur essendo svedese) nel film si coglie il maggior contributo dato da Stallone in questo film rispetto al primo Creed. L'attore italoamericano qui svolge il ruolo sia di produttore sia di co-autore della sceneggiatura. In un film che (nelle sue intenzioni) proprio perché intende parlare del futuro di un campione, in realtà è rivolto anche al passato dell'altro volto di quel campione.


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Il suo coach, il suo alter ego. Colui che lo ha reso forte insegnandogli la teoria secondo cui ogni pugile lotta davanti a uno specchio, contro la propria immagine riflessa ed i rispettivi fantasmi.

Ed è quello il suo vero avversario. In questo senso Creed II (che ha l'immenso merito di non sviluppare il tema di una riedizione dello scontro tra superpotenze Usa vs Russia, come nella pellicola "ideologica" di 34 anni fa) rappresenta la summa del cinema di Stallone.

Tra i drammi familiari, i rapporti col figlio, mogli di boxeur ed esponenti della nomenklatura che decretano risultati sportivi abbandonado palazzetti dello sport pieni di gente. E a proposito di palazzetti e spettacolo: il film (diretto da Steven Caple Jr, laddove il regista del primo episodio, Ryan Coogler, qui è in veste di produttore esecutivo) in alcune sequenze sembra addirittura giocare coi generi. In cui elementi musicali (come la sequenza degli allenamenti nel deserto, che assumono senso non tanto sul versante narrativo ma proprio nel campo di un voluto equilibrio tra i generi) si mescolano con la narrazione sportiva, quasi a voler realizzare una sorta di musical dello sport. Sia in chiave sinfonica sia in chiave hip hop (dotando in questo modo il film di una doppia colonna sonora).

Nella sequenza che chiude l'allenamento, con uno spostamento spazio-temporale notevole si arriva direttamente a Mosca, con tanto di stadio Luzniki (quello della finale mondiale tra Francia e Croazia) al centro dello skyline della metropoli russa. A suo modo si può considerare Creed II una pellicola formativa: sport, spettacolo, musica, citazioni filmiche. E (per fortuna) poca politica.

Ascoltate bene (poco dopo quel colpo micidiale che Adonis sferrerà al giovane Drago) il motivetto firmato da Bill Conti così ben centellinato in tutte le oltre due ore di proiezione.

E dopo aver ascoltato, guardatevi intorno. Perché quel rumore di applausi non proviene dallo schermo. Quel rumore viene dalla sala. È il pubblico che partecipa allo spettacolo. È il pubblico che ha rivisto in quel colpo, il nuovo Rocky. E con lui, tutta la storia di una generazione.