Recensione Dragon Ball Super: Broly
Dal 28 febbraio nei cinema arriva il nuovo film della saga dei Saiyan: "Dragonball Super: Broly".
Lo spettatore in sala viene catapultato ai tempi in cui la gloriosa razza Saiyan era al servizio dell’armata di Re Cold, padre di Freezer. Vegeta III, considerata la potenza anomala mostrata dal piccolo Broly ancora in incubatrice, decide di espellerlo dal pianeta con la scusa di temprare il suo carattere. Ma Paragas, il padre di Broly, appresa la notizia, seguirà il figlio per potersi occupare di lui. Le condizioni inospitali del pianeta, e la brutalità degli insegnamenti ricevuti, renderanno Broly la rappresentazione della perdita di controllo e della brutalità della forza.
Dopo questa digressione l’azione si sposta di 40 anni, nel periodo successivo alla saga del "Torneo del Potere", con Broly ormai adulto e ancora in compagnia del padre. I due Saiyan verranno salvati dal loro esilio da alcuni soldati di Freezer che decide di accoglierli tra le sue schiere. Quest’ultimo, nuovamente alla ricerca delle sfere del drago, si dirige sulla Terra; luogo in cui si svolgerà lo scontro tra Vegeta, Son Goku e Broly.
Akira Toriyama porta in scena uno dei personaggi più amati dal pubblico della saga cercando di renderlo canonico all’interno della Saga Super. Una leggenda che viene dotata di un background dettagliato e diverso da quello che i fan avevano imparato a conoscere finora. Lo stesso Akira ha infatti detto quanto, non convinto della prima stesura del personaggio nell’anime, si sia sentito ispirato da una nuova storia su di lui migliorandolo, a suo dire, senza però stravolgere quella che era l’idea di lui nell’immaginario collettivo. Emblema dell’esasperazione delle caratteristiche di tutti i Saiyan, Broly viene mostrato come un cavernicolo che si stupisce per la bontà dell’acqua, ma che allo stesso tempo è in grado di ingabbiare la potenza dell’Oozaru. Superare la potenza di Son Goku e di Vegeta non è facile, ma durante lo scontro il giovane Saiyan riesce a modulare la propria potenza apprendendo dai colpi degli avversari che si troveranno in notevole difficoltà.
Il fulcro nella narrazione di Dragonball, come ci si aspetta, si incentra sullo scontro e su come questo venga animato. In questo lungometraggio non tutto sembra funzionare perfettamente. Se da un lato, infatti, in sala la lotta viene affrontata sempre con lo stesso entusiasmo; dall’altro l’occhio ne risente parecchio. L’animazione si muove in contrasto tra quella “tradizionale” che caratterizza tutto il percorso animato di Dragonball dalla serie Z, a quella più innovativa in CGI che quasi disturba il ritmo visivo tra le scene. I colori vibranti la fanno ancora una volta da padrone, attirando l’attenzione più di quanto non faccia lo scontro in se. Si nota da questi particolari come il film sia stato pensato alla sala cinematografica. Il pathos, però, non viene solo creato dal montaggio visivo, magistrale in alcuni punti dello scontro finale, ma per buona parte dal modo con cui parte del ritmo viene scandito dal sonoro. La colonna sonora, pensata molto alle sale orientali più che a quelle occidentali, aggiunge un tocco di Kitsch che diverte. Si ha quasi l’impressione di star giocando a uno dei “Budokai Tenkaichi”.
Complessivamente ha tutti gli elementi che finora hanno entusiasmato i fan della saga, il che ne fa un ottimo prodotto da fruire per qualsiasi fascia d’età.
Voto
Redazione