Recensione I Fratelli Sisters
Un western affidato un regista francese. Esperimento riuscito?
E' senz'altro un prodotto singolare questo I fratelli Sisters per la regia di Jacques Audiard.
Si tratta di un tentativo di declinare, secondo nuovi canoni e nuovi espedienti narrativi, il genere western. Operazione a dire il vero fallita (non a caso) alla grande negli ultimi venti anni ogni qual volta si è provato a rispolverare dall'armadio le pistole d'epoca e i capelli da mandriano (basti pensare al remake di Quel treno per Yuma o ad Appaloosa).
Del resto il cinema western è stato per molte decadi (assieme al musical) il cinema americano nel vero senso del termine, e l'emergere di nuove ondate e nuovi impulsi cinematografici ha portato sostanzialmente ad una crisi del genere o a riedizioni moderniste dei vecchi canovacci alla John Ford (basti pensare ai film di Sam Peckinpah o alla Trilogia del Dollaro di Sergio Leone).
I fratelli Sisters (presentato alla Mostra del Cinema di Venezia dello scorso anno) va oltre, e vede la regia del film ad un regista francese (Audiard) alla sua prima opera in lingua inglese. Il risultato è un ibrido, che si fa influenzare sia dall'operazione ardua in sé, sia dal processo produttivo che ha portato alla nascita di questi film.
I due fratelli Sisters (John C. Reilly e Joaquin Phoenix) sono dei lavoratori assoldati dal Commodoro. Vagano per l'estrema frontiere americana, dove è quasi possibile scorgere l'Oceano Pacifico. Hanno varie avventure, meditano l'addio alla armi, fino a quando un tragico incontro non li porterà finalmente in rotta di collisione col proprio "datore di lavoro".
Il film, anche nel suo sviluppo narrativo, si configura come una pellicola degli interpreti: il peso di tutto sta sulle spalle di Phoenix e Reilly. Quest'ultimo, del resto, ne è anche il produttore, e si trova in un periodo di crescita della sua carriera attoriale, svolgendo un ruolo fondamentale nella selezione di Audiard come regista.
L'idea infatti era quella di realizzare un western intimista con un regista proveniente da una cultura cinematografica spesso considerata inconciliabile con quella statunitense. Nello stesso "Il cinema secondo Hitchcock" di Francois Truffaut, il regista britannico evidenziava come mentre i cineasti del centro Europa (Wilder, Zinnemann, Lang, Wyler) fossero quelli realmente in grado di capire la mentalità americana (e dunque i suoi codici cinematografici), coi francesi molto spesso vigeva una sorte di barriera culturale all'insegna dell'incomunicabilità.
Per certi versi questa incomunicabilità franco-statunitense si percepisce anche ne I fratelli Sisters, con una trama che per quanto risulti ben congegnata non riesce realmente ad attrarre lo spettatore. E con momenti di lirismo e quasi da commedia (come la morte finale del "datore di lavoro" dei due protagonisti) che risultano essere sì quelli di maggior riuscita, ma prettamente di derivazione americana e con l'umorismo alla Fratelli Coen sempre in agguato.
La stessa recitazione di Phoenix non riesce veramente a stare al passo con quella di Reilly, dando l'impressione che l'interprete di film come The Master e Lei sia in realtà più adatto a pellicole con lui al centro del processo creativo e produttivo della pellicola anziché nella parte del comprimario (l'impostazione del prossimo Joker, sembra del resto avvalorare questa sensibilità).
In sostanza I fratelli Sisters sembra quasi un film proveniente da un capriccio, dalla volontà di realizzare un film western dalle venatura autoriali e con un grande cast di complemento come ben testimonia la presenza dell'inseguitore Jake Gyllenhaal. Uno spunto interessante, ma dalla resa superficiale e non pienamente riuscita.
Voto
Redazione