Recensione I morti non muoiono
Jarmusch e zombi: un binomio perfetto
Nel 1967 usciva nelle sale cinematografiche statunitensi il film “Per favore favore, non mordermi sul collo!” di Roman Polanski. Si trattava del primo film girato interamente in lingua inglese da parte di quello che veniva considerato una delle più grandi promesse del cinema europeo, pronto a contaminare con la sua cultura cinematografica franco-polacca la nascente Nuova Hollywood del periodo (come paleserà il suo “Chinatown” del 1974).
L'aspetto che maggiormente colpì i critici una volta uscito il film però, è che Polanski non si limitava a realizzare uno dei tanti film sui vampiri, ma giocava con quel mondo, attraverso il tono del farsesco. Cosa fanno i vampiri quando si “svegliano” di notte? Come si uccide un vampiro? Perché ai vampiri piace così tanto danzare e perché il loro riflesso non compare sugli specchi?
Tutti elementi di complemento all'ancestrale (sin dalla notte dei tempi) paura degli esseri umani nei confronti del diverso e di tutti quei personaggi che hanno il brutto vizio di bere il sangue degli estranei.
E che Polanski analizzava.
Non realizzando in questo modo una parodia (come per esempio il “Young Frankenstein” di Mel Brooks). Ma, appunto, una farsa sui vampiri.
Col suo “I morti non muoiono” (presentato come film d'apertura all'ultimo Festival di Cannes) possiamo dire che Jim Jarmusch riprende quell'insegnamento e inserisce il suo cinema e il suo universo attraverso l'ambientazione dei non-morti. Quegli zombi che tanto hanno dato al cinema (ed alla serialità) a stelle e strisce.
Centerville, Stati Uniti d'America. 786 abitanti. Uno di quei centri della provincia americana in cui ci sta solo un bar (altrimenti occorre rivolgersi alle macchinette automatiche). Luoghi di potenziali massacri, luoghi che già da vivi puzzano di morte nel loro vuoto cosmico.
In questo contesto girano per il paese i due protagonisti della vicenda: i poliziotti Cliff Robertson (Bill Murray) e il suo fidato e mai emotivo Ronnie Peterson (Adam Driver).
Oggettivamente non c'è molto da fare in città: tutti conoscono tutti (cosa che favorisce il lavoro della polizia) ed al massimo un povero eremita (interpretato dal narratore “onnisciente” Tom Waits) che vive isolato nella foresta spara qualche colpo di fucile senza che nessuno si faccia male.
Un giorno però, a Centerville non tramonta il sole. E non soltanto: dal cimitero spuntano fuori gli zombie, e la comunità (variegata, quasi un microcosmo in cui convivono le differenti tendenze della società americana) viene presa dal panico, con reazioni e morali immaginabili secondo cui (sotto sotto) forse questi zombie non sono così tanto peggio dei vivi.
Jarmusch gioca col cinema di genere. E col cinema che gli piace. Trasuda citazionismo il suo cinema, da sempre. Ma qui assume quasi i connotati di un sistema.
Bill Murray interpreta un personaggio che si chiama Cliff Robertson. Numerosi sono i rimandi al cinema di Hitchcock (“Gli Uccelli”, “Psycho”). Ancor più si cita (anche esplicitamente) il cinema di George Romero e quegli zombie che sembrano (sembrano) volere la lotta di classe.
Addirittura in certi casi il citazionismo filmico si tramuta in meta-cinema: Adam Driver porta con se un portachiavi di Star Wars, mentre il personaggio di Bill Murray si lamenta perché la storia finirà male anche se “Jim” non gli ha dato il copione. Per non parlare poi del brano musicale che da' il titolo al film, definito dall'agente Peterson come “il motivetto principale” del film.
E' evidente sin dalla genesi dell'azione che a Jarmusch piace scherzare, farci intravedere istantanee del suo mondo e parte del cinema che ha tanto amato.
Il ricco cast di supporto (oltre ai già citato ricordiamo Steve Buscemi e il suo cane repubblicano dal nome “Rumsfeld” oltre che Iggy Pop, Selena Gomez e Tilda Swinton) non è altro che tutto questo: un elenco di sodali del cineasta che si prestano al gioco.
Sarebbe dunque sbagliato, partendo da questi presupposti, dare una lettura “politica” a “I morti non muoiono” cercando di scorgere nella controversa vicenda sprazzi di realtà o di analisi sociologica dei tempi moderni.
Quello che Jarmush sembra invece volerci lasciare in dote con questo film è un divertissment, in cui di fronte alle inquadrature tipiche del regista ed al suo uso del sonoro, vediamo una rielaborazione di tutti i tic e i vizi del cinema sui non morti che camminano tra i vivi.
Tecniche di uccisioni, caratteristiche, aneddoti e (mi raccomando) mirate sempre alla testa. In poche parole: una farsa sugli zombie. Che in quest'ottica (con piacere) va vista in sala e sul grande schermo senza porsi troppe domande, senza cercare cose che nessuno (nemmeno il regista) in realtà voleva portarci in dote con questo film.
Voto
Redazione