Recensione I Villeggianti
Commedia e mistero nel nuovo film di Valeria Bruni Tedeschi
“I villeggianti”, film presentato alla 75° mostra del cinema di Venezia, nella categoria fuori concorso, sarà in sala dal 7 marzo. Una pellicola autobiografica diretta e interpretata da Valeria Bruni Tedeschi, che racconta, senza un reale filo logico, una sorta di processo di psicanalisi improntata sull'espiazione della perdita.
Anna (Valeria Bruni Tedeschi), come ogni estate, è pronta alla sua vacanza in Costa Azzurra, ma quest’anno il marito (Riccardo Scamarcio) ha deciso di non accompagnarla perché impegnato in una relazione con un’altra donna. In una villetta lontano dal tempo e dallo spazio, troverà tutta la sua famiglia ad attenderla, tra i quali la sorella (Valeria Golino). Anna è lì, anche, per cercare di completare il proprio lavoro: finire la stesura del suo prossimo film in cui parlerà della morte del fratello.
Le vite dei vari personaggi si intrecceranno nel corso di quei giorni mostrando, però, la loro sterile vacuità. Madri, sorelle, mariti, amanti, ex e servitù appaiono come grandi simboli del loro status sociale; degli stereotipi che vengono banalizzati e svuotati non appena vi è una reale interazione tra loro, finendo con il marcare il mancato e velato riferimento a una lotta tra classi. Le conversazioni restano improduttive, mostrando quanto il vero errore di tutta la pellicola consista proprio nella costruzione dei dialoghi e quanto molte scene siano prolisse, superflue, non necessarie nel flusso degli eventi. Si conosce poco dei personaggi e quando vi è la possibilità di scalfirne la superficie sembra di star tentando di afferrare il fumo con le mani. Le due ore della pellicola sarebbero potute essere sfruttate diversamente per poter comporre un film che avrebbe coinvolto a pieno il pubblico, senza lasciargli l'amaro in bocca. Perché, se persino tematiche importanti come lo stupro o l’aborto vengono portate in tavola tra le risate collettive, l'intero svolgersi dei fatti può essere archiviato come una “chiacchierata da bar” o in uno “spettacolo” in grado di mettere in luce solo l’evidente follia dei presenti.
Da salvare, in tutto ciò, è sicuramente la recitazione di Valeria Golino. Parla tre lingue differenti, molto spesso passando dall’italiano al francese con una naturalezza non indifferente e il suo personaggio è quello più dannato. Una donna, vittima delle circostanze, innamorata di un imprenditore in bancarotta che l’ha scelta prima come amante, poi come compagna. Un’anima in pena non solo per la perdita del fratello, ma anche per l’aborto avvenuto anni addietro.
L’alone di mistero, che dovrebbe condire l’atmosfera del dramma della narrazione, sprofonda nel ridicolo davanti le manifestazioni spiritiche dello stesso Marcello, il fratello defunto di Anna. In una sorta di manifestazione dei demoni del passato e delle paure del presente, Marcello prende vita e incontra in un primo momento la Golino, successivamente la Tedeschi. E una volta terminato di leggere la stesura dello script sulla quale Anna sta lavorando, incontrerà persino l’attore che dovrebbe interpretarlo in scena. Una sorta di doppio che funge da guida o da monito e che ritroveremo nell’epilogo.
Il pubblico in sala sa di doversi trovare davanti a un film drammatico, commovente, ma le evidenti forzature inserite nella storia non faranno che provocare un effetto contrario. Un’opera suddivisa in tre atti, più un epilogo, che unisce la cinematografia italiana a quella francese. I colori della fotografia, infatti, prendono ispirazione delle commedie proprio di quest’ultima; il clima tipicamente arancione e estivo non lascia lo spazio alla notte per tutto il primo atto. Lasciando che le tenebre giungano solamene durante il secondo e il terzo atto, nel momento in cui il processo che coinvolge i vari personaggi ha un po’ più di spazio. La notte nasconde con se gli atti di ribellione, di forza, di scandalo, ma restano comunque fini a se stessi all’interno della trama generale.
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Redazione