Recensione Il professore e il pazzo
Una tracotante storia di sentimenti.
Mel Gibson è sempre stato un regista in grado di raccontare storie di coraggio, dedizione e lucida follia. Lo sono stati anche alcuni personaggi da lui interpretati, pensiamo solamente al mai dimenticato William Wallace.
Sebbene la regia de Il professore e il pazzo non porti la sua firma, il coraggio tipico di alcuni film di Gibson è pienamente percepibile nel corso di tutto il film. Un sentimento però che si innesta all'interno di tanti altri, necessari a raccontare una storia incredibile ma meno "rivoluzionaria", forse troppo sottovaluta in passato, ma che nasconde anche un valore umano non indifferente.
TROPPI SENTIMENTI IN UNA SOLA STORIA
Ne Il Professore e il Pazzo Gibson è il protagonista - insieme a Sean Pean - di una storia che ricorda più vicino una struttura decisamente più classica, lontana dall’ardore registico di Mel, ma non per questo meno efficace.
La regia, affidata al suo storico assistente P.B.Sherman (qui al suo esordio) indugia sul rapporto profondo tra Sir james Murray, uno scozzesse autodidatta determinato a compiere l'impresa che ha nella testa, e William Chester Murray (Sean Penn), un ex chirurgo rinchiuso all’interno di un manicomio criminale, accusato, forse per errore, dell’omicidio di un uomo innocente.
Il periodo è quello di fine ottocento, più precisamente il 1879, un momento di forte industrializzazione che l’umanità vive in quegli anni. In questo fermento si incastona una splendida storia di coraggio, amicizia, rendenzione e perdono che vede coinvolti i due personaggi sopracitati, all'interno di un contesto tutt'altro che semplice come quello dei manicomi.
Come raccontato nel libro L’assassino più colto del mondo (da cui Gibson è stato folgorato), Murray e Minor sono coloro che sono riusciti nell’impresa di realizzare la prima versione dell’Oxford English Dictionary. Inizato nel 1879 e finito nel 1928.
Se da una parte abbiamo una visione classica e precisa nel raccontare l’impresa, ben più ambizioso e arzigogolato è l’evoluzione del rapporto tra i due protagonisti. In questo, la sceneggiatura dello stesso P.B.Sherman (aiutato da Todd Komarnicki) fa probabilmente il passo più lungo della gamba, non riuscendo a gestire un film che, in alcune occasioni, non solo deraglia in generi differenti e non amalgamati con certezza tra loro (drammatico, thriller e persino una storia d’amore sullo sfondo) ma non riesce a dare un equilibrio ai due personaggi.
Il compito più complesso è sicuramente quello di Penn. Infatti, sebbene nelle vene del personaggio di Gibson scorra sangue scozzese (facili rimandi, quindi) il suo è un personaggio più pacato e lineare di quello invece viene interpretato dall’attore originario di Santa Monica. Squilibri che impattano non tanto sull’ottima recitazione - splendidi alcuni dialoghi tra i due - ma su un ritmo e una sequenzialità che in alcuni casi è difficile da seguire. Ogni tanto si ha la sensazione che qualcosa manchi, che alcuni elementi vengano inseriti più per caricare ulteriormente il pathos di una vicenda che, onestamente, ne ha già tantissimo da vendere.
Insomma, non ci troviamo davanti ad un biopic in grado di rivoluzionare il genere, come non c’è l’ardore di equiparare la folle genialità dei due protagonisti ad una regia e ad un montaggio in grado di azzardare. Al netto di questo però, Il Professore e il Pazzo è un film che si lascia guardare proprio per via della sua genuina volontà di raccontare una storia incredibile nella sua "semplicità", a cui è stato dedicato troppo poco rispetto all’inestimabile valore che rappresenta quel dizionario per l’intero popolo anglosassone. E, a ben pensarci, è curioso immaginare una volta ogni tanto il cinema sia in grado di raccontare una grandissima impresa legata alle parole; quelle parole di cui lo stesso cinema ha bisogno. In questo senso, forse, un pizzico di coraggio lo intravediamo.
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Redazione