Recensione L'agenzia dei bugiardi

Una commedia chiassosa sulle dinamiche di coppia

Vi siete messi nei guai raccontando qualche frottola di troppo? La vostra liaison clandestina rischia di venire allo scoperto scatenando la furia del vostro partner? S.O.S. Alibi è la soluzione che fa per voi! L'agenzia segreta diretta dallo scaltro Fred (Giampaolo Morelli) con l'aiuto di Paolo (Paolo Ruffini) e Diego (Herbert Ballerina) è attiva h24 per salvare la pelle ai propri clienti, fornendo loro  coperture di ferro per mascalzonate di ogni sorta. Un sogno che si realizza? No: lo spunto della scatenata commedia L'agenzia dei bugiardi, remake della pellicola francese Alibi.com di Philippe Lacheau (2017), diretto dal romano Volfango De Biasi.

Attraverso un intreccio che ibrida commedia degli equivoci, farsa chiassosa e romanticismo, il film ruota attorno a tematiche quali sincerità, illusioni e, naturalmente, dinamiche di coppia.


Come si accennava, Fred ha consacrato la propria esistenza a proteggere e perpetrare le menzogne altrui per risparmiare sofferenza alle 'vittime' di queste ultime. Quando incontrerà inaspettatamente Clio (Alessandra Mastronardi), che tanto gentile e tanto onesta pare, metterà per la prima volta in discussione la scelta di mantenere una distanza emotiva dalle donne per lasciarsi finalmente andare all'amore... Peccato che il suo potenziale suocero (Massimo Ghini) altri non sia che uno dei fedifraghi clienti della sua diabolica agenzia, sposato con Irene (Carla Signoris) ma invischiato in una relazione adulterina con Cinzia (Diana del Bufalo), aspirante webstar senza arte né parte.

Gli ingredienti per una serie di imprevisti bizzarri e persino pericolosi ci sono tutti, peccato che l’ultima fatica di De Biasi, a onor del vero, non convinca sotto numerosi punti di vista. In primis, è un film che non rischia; si limita a riproporre in maniera quasi pedissequa il suo archetipo, di cui modifica appena qualche dettaglio e che condisce con una spruzzata di riferimenti all'attualità italiana. Inevitabilmente, chi ha avuto modo di apprezzare il film di Lacheau si ritroverà di fronte a situazioni e gag già viste e che, private dell’effetto sorpresa, ben poco avranno da offrire in termini di spasso e originalità.

Nel cast corale, ciascuno trova il proprio spazio ma non tutti si distinguono. Morelli si piace, e questo gioca a favore della caratterizzazione del suo personaggio, seducente mistificatore. Buona prova anche per Herbert Ballerina, che è un piacere vedere in un ruolo diverso dal solito braccio destro di Maccio Capatonda. Spiritosa la fugace incursione di Piero Pelù. I veri fiori all'occhiello, tuttavia, sono i comprimari Carla Signoris, impeccabile, e Paolo Calabresi. Quest'ultimo, smessi i panni del laido Saverio della serie Netflix Baby, interpreta l'inquietante amico di famiglia di Clio, che nasconde una singolare passione per la fotografia...


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Altro punto a sfavore del remake nostrano è che eredita anche i difetti del predecessore che, dopo una partenza accattivante e piuttosto divertente, si lasciava andare a sciatterie e trovate degne delle più banali 'americanate'. Pertanto, anche chi si avvicinerà al plot per la prima volta avrà buone probabilità di storcere il naso di fronte a una comicità sempre più grossolana, nonostante una sceneggiatura indubbiamente serrata e dinamica.

Cari cineasti italiani, ispirarsi ai bravi colleghi d'oltralpe non è affatto una pessima idea. Basti pensare al clamoroso successo di Benvenuti al Sud (2010), che riuscì ad avvicinare talmente il soggetto originale alla nostra sensibilità da farne un cult. Qui, però, siamo più vicini al terreno percorso pochi anni dopo da Alessio Maria Federici con Stai Lontana da me (che, combinazione, contava a sua volta Morelli nel cast). La sua versione di La chance de ma vie era un film ben confezionato e con un cast affiatato, ma anche un'operazione dimenticabile, che mancava di personalità.

Anche in questo caso, è apprezzabile l'attenzione ai dettagli e la buona orchestrazione di sequenze complesse (tra cui una spericolata fuga in macchina) ma mancano la grinta e l'audacia di andare oltre l'asettico omaggio e farsi arguta rielaborazione. Sarebbe bastato, forse, puntare su una scrittura brillante, su un umorismo più sottile e meno propenso a facilonerie.