Recensione L'uomo che comprò; la luna
Un pescatore sardo ha promesso la Luna alla donna che ama. E i Sardi le promesse le mantengono.
Qualcuno ha comprato la luna. Per quanto incredibile, i documenti parlano chiaro. Allertati da un comunicato arrivato in piena notte, i servizi segreti italiani (Dino e Pino), allertano immediatamente il capo di stato maggiore che, a sua volta, gira la cosa alle maggiori nazioni planetarie e alla Santa Sede (guai che non dica la sua) per fare poi ritorno, guardacaso, ai due Men in Black tricolore che decidono di trovare un agente segreto in grado di parlare il sardo. La discriminante è legata proprio al documento originale che individua in un cittadino di “Cuccurumalu”, l’acquirente del satellite.
L’infiltrato viene individuato in un parà (Jacopo Cullin) che sin dalle prime battute non sembra essere un fulmine di guerra e che, soprattutto rinnega con forza le sue origini isolane. Il soldato, però, non ha scelta e incastrato dagli ordini superiori, deve ottemperare al suo dovere. Per facilitare il compito gli viene assegnato un “tutor” (Benito Urgu, intervistato da Cristiano Sanna), che lo aiuterà a ritrovare la sua “sarditudine” per essere un perfetto infiltrato.
L’ultima pellicola di Paolo Zucca è una commedia etnica a metà tra il surreale e l’onirico, che tra le pieghe del rapporto “maestro/allievo” nasconde tantissime verità dell’animo e dell’orgoglio radicato in terra sarda. Il valore della parola data, la testardaggine tipica dell’isolano (la metafora iniziale del film è perfetta nel descriverla), l’essere permalosi senza possibilità di redenzione. Tutto passa, o quasi, dal rapporto vero, genuino, e incredibilmente umoristico ma anche molto umano e dolce tra i due protagonisti principali.
Ed è forse questo il momento più riuscito di tutto il film, a cui aggiungiamo anche il viaggio di un Kevin Pirelli/Jacopo Cullin che, arrivato proprio a Cuccurumalu, viene soppesato e messo alla prova dai cittadini del posto, con alcune scene davvero ben riuscite ed esilaranti. In particolare quella dove, dopo aver superato il temibile test del “biliardino”, Cullin si addentra in una prova di canto che rifà il verso alle “guerre di rap” viste in “8 miles”.
Da lì in poi il film si sposta su un terreno più verboso e surreale, che perde un po' in termini di ritmo, ma che si addentra sicuramente nel cuore della trama per sfumare verso una conclusione che è ancora una volta un atto d’amore verso questa meravigliosa isola. A parte questo, il film di Paolo Zucca si è rivelato davvero una piacevole sorpresa, riuscendo a divertire lo spettatore in modo genuino e diretto, inserendo di tanto in tanto chiari messaggi diretti a far capire il perché della ritrosia tipica del sardo (Il canto all’interno del bar del paese è esemplare, da questo punto di vista), ma anche quella di saper accogliere nel migliore dei modi chi ritiene meritevole di tale onore.
Resta da capire come una commedia di questo tipo possa essere percepita dal pubblico “continentale”, perché al di là delle doti recitative di Cullin e Urgu (il suo Badore è da applausi), molte delle battute e degli sketch affondano le radici nella nostra cultura popolare. E’ comunque una sfida che Zucca dimostra di saper affrontare, riuscendo a raccontare, tra una risata e l’altra, la realtà di un terra difficile, sfaccettata, ma con un cuore enorme.
La volontà del regista cagliaritano, è comunque quella di affrontare anche il pubblico dello stivale, appoggiandosi ad attori conosciuti dal grande pubblico, da Francesco Pannofino, a Stefano Fresi, per arrivare ad una bravissima Angela Molina che, forse complici le sue origini mediterranea, incarna alla perfezione la donna sarda (o, “regina”, come puntualizza Badore). E la testa dura per riuscirci, il buon Zucca, ce l'ha.