Recensione La Ballata di Buster Scruggs
Il grande cinema che non passa dal cinema
Il rapporto tra i fratelli Coen ed il genere western è sempre stato caratterizzato da un misto di odio e amore. Per quello che ha rappresentato per decenni (assieme al musical) la quintessenza del cinema americano, i due fratelli hanno sempre provato una profonda ammirazione. Tanto da realizzare, nel corso degli anni, pellicole in grado di ricalcare (intelligentemente) il western in una chiave moderna, senza compiacersi nella rievocazione storica di un genere che per forza di cose non sarà mai più quello dei tempi di John Ford e John Wayne.
"Fargo" e "Non è un paese per vecchi" possono essere infatti considerati dei western moderni (seppur contaminati), mentre "Il grinta" del 2011 risultava essere l'unico vero tentativo del duo di realizzare una rievocazione storica del mito dei cowboy ancor più veritiera (e sopratutto non parodistica) dell'analoga pellicola diretta da Henry Hathaway e che valse il Premio Oscar a John Wayne nel 1970.
Ed è con questo stesso spirito di rievocazione (ma anche di sperimentazione, considerato il mezzo Netlix) che i due fratelli Premi Oscar hanno realizzato questo film a episodi chiamato "La ballata di Buster Scruggs". Inizialmente il progetto prevedeva una serialità televisiva, sempre per la piattaforma Netflix, ma col tempo i Coen hanno accantonato il progetto, preferendo abbozzarlo attraverso un film diviso per capitoli. Il risultato del film, curiosamente, ci mostra i motivi lampanti per cui il progetto di una serie sul mondo western sia stata abbandonata dai due autori.
Il primo episodio da' il nome al film stesso, e rappresenta una versione ironica di alcuni canovacci del genere: il cowboy infallibile con la pistola, il nemico burbero, i duelli all'ultimo secondo e i saloon. Sembra ricalcare per certi versi l'episodio di Pecos Bill nel disneyano "Lo scrigno delle sette perle" del 1948, e caratterizza inevitabilmente tutti gli altri frammenti di un film che fa del suo non essere omogeneo la sua cifra stilistica. Col secondo frammento ("Near Algodones") avente come protagonista James Franco, invece si cambia leggermente tono, con un un'esposizione voluta di stereotipi western ma con quel sapore beffardo e amaro che ha sempre caratterizzato la filmografia dei Coen.
E' però solo dal terzo episodio ("Meal Ticket") che capiamo la vera portata di un lavoro complesso e dalla aspirazioni variegate: Liam Neeson infatti ci porta in un mondo fatto di spettacoli viaggianti, carovane ed in cui pur di ottenere qualche dollaro si fa sfoggio della debolezza e della mutilazione umana come arma di "conservatorismo compassionevole", per dirla alla Marvin Olasky. Da questo momento in poi si passa all'introspettivo, con "All Gold Canyon" e con Tom Waits (che non canta mai) protagonista di una solitaria e ponderata caccia all'oro. "The gal who got rattled" con Zoe Kazan è invece quello più in linea con le rievocazioni western più recenti (come "Balla coi lupi" del 1990) e parla di una carovana, di uomini, donne e ovviamente religione. A suo modo, il vero film nei film.
Infine l'ultimo episodio "The mortal remains" mantenendosi su un impianto sostanzialmente teatrale omaggia sia lo spirito della "Stagecoach" fordiana in mezzo agli indiani (i protagonisti discutono dentro una carovana durante un viaggio, dando vita ad uno spaccato della società americana) sia il racconto gotico di Poe e con tutta la filmografia orrorifica e fantastica che ne consegue (Mario Bava in primis, ma anche la "Danza macabra" di Antonio Margheriti, che ha al suo interno proprio il personaggio di Edgar Allan Poe). Uscendone con riflessioni filosofiche e con locande che sembrano in realtà porte per l'inferno. E stupidi noi a non essercene accorti prima.
Nel suo essere variegato e composto da diverse sensibilità, si coglie l'immensa carica di difficoltà dell'opera. Una serialità è qualcosa di impegnativo (sopratutto se diretta e non soltanto prodotta dai Coen) e i due avrebbero presumibilmente dovuto abdicare alla loro vocazione di cineasti puri per dedicarsi ad una sorta di affresco del genere western, in cui convivono sia gli indiani sia i fantasmi. Probabilmente la realizzazione di quest'opera avrebbe dunque compromesso seriamente gli altri lavori cinematografici e da sala del duo, che dunque si divertono (pur con un film dalla durata di oltre due ore) a rievocare in parte il cinema che fu, in parte, il proprio tocco autoriale sul genere americano per eccellenza.
Voto
Redazione