Recensione Le Mans '66 - La Grande Sfida
James Mangold ci porta nell'adrenalinico mondo delle corse anni '60
La grande sfida che nel 1966 vide come protagonisti Ford e Ferrari nella corsa automobilistica del circuito francese de Le Mans, presentata in anteprima al film festival di Toronto, approderà nelle sale italiane il 14 novembre per poter far vivere l’adrenalina automobilistica al suo pubblico.
Nel 1963, per cercare di rendere più appetibili le automobili Ford ai più giovani, Lee Iacocca (Jon Bernthal) – direttore del marketing dell’azienda – propone a Henry Ford II (Tracy Letts) di creare un’auto in grado di concorrere nel mondo delle corse automobilistiche così che “velocità” sarebbe potuta diventare sinonimo di “efficienza”. La Ford Motor Company decide di contattare Enzo Ferrari (Remo Girone) per procedere a un possibile acquisto, ma l’accordo viene presto interrotto; evento che viene visto da Ford come un affronto alla propria persona. Allora, decidono di pensare un’auto che fosse in grado di non solo partecipare a “Le Mans”, – una gara che mette alla prova non solo i suoi piloti e la tenuta delle auto che essi guidano per 24 ore – ma soprattutto di battere la Ferrari, scuderia che si era aggiudicata le vittorie negli ultimi anni.
Caroll Shelby (Matt Damon), ex pilota e vincitore di La Mans nel 1959, dopo essere stato costretto a ritirarsi dalle competizioni a causa di una malattia cardiaca, viene contattato dalla Motor Company per diventare il capo della squadra di ingegneri che si occuperà della costruzione del prototipo. Al suo fianco, come collaudatore e come pilota, sceglierà l’inglese Ken Miles (Christian Bale); un uomo suscettibile, arrogante e intemperante, ma dotato di un grande talento e di una grande sensibilità nel “sentire” le auto. Il loro rapporto simbiotico, il loro essere le due facce della stessa medaglia, li spingerà ad andare contro le dinamiche e le regole che cercano di imporre loro gli incravattati dell’azienda.“Le Mans ’66 – La grande sfida” è un film che non solo trasporta il pubblico nell’adrenalinico mondo delle corse, ma lo spinge a provare le stesse emozioni che i piloti provano durante le corse.
La regia di James Mangold, come nelle altre sue pellicole, riesce a trasmettere persino i respiri che scandiscono gli attimi in cui l’esperienza della guida si fa più intensa. Il film riesce a narrare l’umanità dietro la leggenda, diverte e incanta dando il mix giusto di sentimenti al pubblico in sala, il tutto sottolineato da una sapiente scelta nella colonna sonora. Non si eccede negli stereotipi, o nel romanzare i fatti, ma anzi la semplicità con cui la storia viene narrata riesce a restituire ciò che in un certo senso è andato perduto nei film d’azione più moderni. Lo stesso Mangold afferma quanto il suo obiettivo fosse quello di realizzare un film nella quale ci fosse poca elaborazione digitale, per lasciare la durezza del mondo reale; permettendo di percepire la fatica, la gioia e la soddisfazione nello sfrecciare a più di 300 chilometri orari lungo il circuito.
La grande regia è stata aiutata da una grande fotografia in grado di soddisfare a pieno lo sguardo dello spettatore, giocando in alcuni istanti con le luci e le ombre per poter imprimere un impatto riconoscibile al flusso di pensieri che coinvolge i protagonisti in scena. Sembra abbastanza scontato da sottolineare, ma l’impalcatura del film viene sorretta da un cast degno ovviamente di nota. La compagine americana affiancata dai volti italiani è stata egregiamente scelta anche per la somiglianza con i protagonisti di questa storia reali. Nonostante, infatti, si tratti di una storia tratta dalla realtà, la caratterizzazione di cui sono dotati i personaggi all’interno della pellicola è davvero funzionale per l’intrattenimento; i caratteri sono tanto credibili da essere quasi contemporanei.