Recensione Mia e il leone bianco

Non è l'anno del Leone..

La piccola Mia cresce a contatto con la natura. La sua famiglia si è trasferita ormai da anni in Sud Africa, e l'essere in perenne rapporto con gli animali appartiene ormai alla quintessenza della sua vita. Esce di casa, e ha un allevamento di leoni. Attorno a se, tigri e zebre. Per andare a scuola deve essere accompagnata dal padre, che percorre in macchina un tragitto molto lungo prima di arrivare alla fermata dello scuolabus.

Ma c'è un motivo per cui Mia si trova in Sud Africa: il padre intende aprire (dopo aver trasferito tutta la famiglia lì da Londra) un bed and breakfast naturalistico, in cui i clienti possono stare a contatto con gli animali. Inizialmente Mia rifiuta quel mondo: gli mancano i suoi amici londinesi e il grande calcio. È una tifosa sfegata del Manchester United, ha un poster di Van Persie in casa. Van Persie al Manchester United, prima della sua esperienza turca con la maglia del Fenerbahçe. Ma col tempo le cose cambiano. Proprio grazie agli animali. E ad un leone.


Sì, perché Mia e il Leone bianco è un racconto che si snoda attraverso gli anni, in cui viene seguita la crescita di una bambina (la Mia del titolo, interpretata da Daniah De Villiers) e la sua storia di amicizia con un rarissimo leone bianco. Che, una volta cresciuto, non solo porterà inevitabilmente ad una revisione del rapporto di ‘amicizia’ con la sua amica. Ma sarà oggetto di bracconieri e di tutti i pericoli di un paese bello e dannato come il Sud Africa.

Mia e il Leone bianco è una strana produzione, ma si inserisce nel solco di una visione cinematografica definita: quello del filone naturalistico su misura per bambini. Da questo punto di vista appare particolarmente significativo il fatto che il film sia stato presentato nel corso dell'ultima Festa del Cinema di Roma, così come Il mio amico Nanuk del 2015, forse la più celebre tra le pellicole di questo tipo.

Per la realizzazione del film il regista Gilles de Maistre (pronipote del cineasta da ancien régime René Clément) si è affidato ad un professionista dell'allevamento di leoni selvaggi come Kevin Richardson (a cui è dedicata una sorta di esplicita pubblicità sul finale della pellicola) e cerca di privilegiare gli aspetti documentaristici e paesaggistici del film a scapito di una sceneggiatura blanda e con attori in declino (una su tutte, la promessa incompiuta del cinema francese Mélanie Laurent) che, in cambio di una gita in Sud Africa, hanno accettato di far parte di un film enigmatico quanto volutamente destinato ad un pubblico giovanile. 


screenshot

Il film non può dunque che disporre di un contenuto narrativo minimo e soprattutto di stereotipi (come il ruolo del villain o della governante) discutibili. Ma Mia e il Leone bianco non mira a questo, ponendosi nel solco del nuovo cinema prettamente generazionale (anche se anche i più giovani meriterebbero storie maggiormente solide e strutturate) a scapito di tutto il resto.

In effetti queste nuove ondate cinematografiche si inseriscono e prosperano nel solco di un grande crisi: quella della funzione pedagogica della televisione. In nome di una generazione di giovanissimi quanto mai desiderosa (finita, soprattutto in Italia, la stagione della tv dei ragazzi) di vivere un'esperienza sul grande schermo all'insegna di animali e paesaggi ancora mai visti e inesplorati. Un target cosi definito da essere inevitabilmente divisivo. Ma è giusto che nel mondo esista anche questo punto di vista. Pure al cinema.


screenshot