Recensione Noi
Quando il nostro 'doppio' è il peggior nemico
Nella storia di Hollywood ci sono state scoperte improvvise nell'ambito della regia cinematografica, che hanno assunto una visibilità planetaria sin dalle loro opere di esordio.
E' il caso per esempio di Delbert Mann, regista di televisione che al primo film cinematografico riuscì addirittura a vincere il Premio Oscar alla Miglior Regia (con "Marty - Vita di un timido", nel 1956). Ma anche quello di Robert Redford che dopo decenni di carriera attoriale alla sua prima opera da regista (e senza mai comparire come attore in tutto il film) "Gente comune" vinse analoghi riconoscimenti e risonanza mondiale.
Jordan Peele, a suo modo, rappresenta una piccola sintesi di tutto ciò. Anche lui come Redford ha avuto un passato da attore (seppur da caratterista del cinema americano). Come Mann, è riuscito ad emergere come giovane promessa dell'Academy sin dalla propria opera di esordio.
Se però "Marty - Vita di un timido" di Mann risultava essere interessante in quanto film anomalo secondo gli standard hollywoodiani dell'epoca (i protagonisti sono poco attraenti e fanno vite poco romantiche, la Nuova Hollywood dei semplici prima che nascesse la Nuova Hollywood, quasi come se fosse una narrazione risiana piccolo-borghese a stelle e strisce) il primo film di Peele "Scappa - Get Out" ha colpito gran parte della critica per il genere che portava sullo schermo: il ritorno dell'horror.
L'horror, del resto, è sempre stato considerato un genere difficile, non adatto a tutti e poco ufficiale. Mai era stato riconosciuto dall'Academy come meritevole di premi. Peele invece grazie a questa pellicola ha vinto l'Oscar alla miglior sceneggiatura originale e la nomination come miglior film e miglior regista.
"Noi" è un bel film, che consente a Peele di sviluppare ulteriormente delle tematiche già presenti nella sua prima opera da regista, ma con una grande differenza. Se in "Scappa - Get out" emergeva da parte del regista la volontà di omaggiare il cinema di genere orrorifico e tutti i mestieranti (Romero, Franco, Corman) che hanno reso grande questo genere considerato di "Serie B", in "Noi" si da' vita ad una forma di evoluzione stilistica del genere.
Una evoluzione in cui non ci si limita soltanto (con i carrelli e la macchina da presa quanto mai mobile del primo film) a raccontare un'efficace ed ardita storia horror. Ma a contaminare i generi. Nella famiglia che rivede in se stessa i propri nemici giurati ed il proprio incubo peggiore, vi è infatti una riflessione sulla società americana tipica (sopratutto nell'ambito della settima arte) dei periodi di transizione e di passaggio della storia americana (per esempio, gli anni '60, dove al cinema si rivedevano a riproponevano in maniera rinnovata i temi del sesso, della famiglia e della società).
Ma al tempo stesso vi è anche il tema dell'identità. Peele gioca dunque con punti di riferimento che si distaccano dal genere horror, pur essendo la pellicola pienamente inserita in questa fattispecie artistica. Nelle riflessioni e nell'ambiguità di "Noi" si rivede la riflessione identitaria tipica di certi film di Bergman, come "Persona". Ma anche (visto che siamo nel bel mezzo di un periodo a suo modo kubrickiano) al "Paura e desiderio" smarrito di Kubrick, dove i pochi personaggi presenti interpretano sia la parte del gruppo di soldati protagonisti sia quella dell'esercito nemico.
E' un doppio specchio, una doppia rappresentazione onirica in cui la presenza del Premio Oscar Lupita Nyong'o conferisce un'ulteriore patina di responsabilità ad un film che si pone come una tappa intermedia per il regista Peele, finalizzata a renderlo un regista che non si chiude in un singolo genere, ma anche aspira ad essere un mestierante completo (non "istituzionale", quello lo è già). Capace di contaminarsi e contaminare i generi ma sopratutto, di allontanare vecchi stereotipi e vecchi pregiudizi. Sulla realtà di tutti i giorni, ma anche sull'universo della celluloide.