Recensione Pet Sematary
Il romanzo più amato/odiato di Stephen King trova una nuova forma sul grande schermo
Il 9 maggio arriva in sala il remake di Pet Sematary; uno dei primi film tratti dal blasonato Stephen King. La prima versione cinematografica risale all’89, postuma di sei anni all’uscita in libreria, e lo stesso King aveva risistemato la sceneggiatura originale, non soddisfatto di come la storia fosse stata trasposta. A quanto pare, di questa versione lui è ben più contento, lo ha dichiarato in più interviste, chi sa se il pubblico sarà dello stesso avviso?!
La storia segue le vicende della famiglia Creed appena trasferita da Boston a una cittadina rurale del Main. Il Dr. Louis Creed (Jason Clarke), la moglie Rachel (Amy Seimetz) e i loro due bambini scoprono, subito dopo il loro arrivo, un misterioso cimitero all’interno della loro nuova proprietà. Una scoperta già macabra e inquietante di per sé, amplificata dall’incontro con il loro inquietante – soprattutto in questa versione della storia – vicino di casa Jud (interpretato da John Lithgow). L’uomo accompagnerà madre e figlia alla scoperta del cimitero, raccontando come esso sia stato interamente pensato dai bimbi del posto da ancora prima che lui potesse averne memoria. Successivamente alla perdita del loro gatto, Church, si innescheranno delle reazioni a catene ben più spaventose
Come già accennato, l’uscita del’89 venne curata dallo stesso King, perché non soddisfatto della sceneggiatura nella prima trasposizione. Conoscendo le differenze tra libro e film è facile notare come i mutamenti siano stati mantenuti anche nella versione del 2019. Il film, infatti, non riprende elementi mancanti del libro originale, ma al contrario accelera e contestualizza quelli già mostrati nel’89 conferendogli un po’ di forza. L’atmosfera è decisamente più cupa, più moderna e più tetra; la predominanza di colori freddi è ben visibile soprattutto quando la magia del cimitero prende vita. I costumi, visibili già dal poster del film, fanno comprendere quanto radicato sia il credo quasi pagano che permea quel luogo curato solo dai bambini. Tutti elementi nuovi che incuriosiscono, seppur differenti.
La tensione, il dolore, il senso dell'horror sono elementi ben presenti nella storia ma che non sempre vengono amalgamati a dovere; sono in grado, però, di far saltare sulla poltrona anche quando ci si aspetta che debba accadere qualcosa. Tutto merito dei movimenti di camera di Dennis Widmyer e alla sua abilità di giocare con la macchina da presa, costituendo punti ciechi nel passaggio tra riprese soggettive o di campo, riuscendo a giocare con l’ansia dello spettatore “facendogliela” sotto il naso.
Per un occhio attento è possibile trovare delle piccole carezze a pellicole intramontabili tratte dai libri i King come Shining, per citarne una: il piano sequenza che mostra dall’alto la cittadina nell’apertura, ricorda un po’ l’inseguimento che Kubrick regala al pubblico durante la prima scena del suo film.
Nel complesso è un remake che sembra voler svecchiare quando realizzato della passata pellicola, rendendola purtroppo meno dissacrante e cruenta di quanto non sia la fantasia di King. Si delinea così un film che rischia di minimizzare la violenza descritta dal Re, a causa di alcune scelte di sceneggiatura; come quella di aumentare l’età della figlia o di far diventare lei l'agnello sacrificale con cui la famiglia Creed inizia la sua lenta discesa all'inferno. Presentando persino dei momenti nella quale le battute anticipano la linea temporale degli eventi raccontati nel libro, decontestualizzandole tanto da essere note stonate all’interno della pellicola.
Diverte l’amante dell’horror, soprattutto se si entra in sala senza grosse pretese. In un’ora e mezza hanno incrementato la tensione che mancava nel film dell’89, dando alla psicologia dei personaggi la vera forza nella narrazione orrorifica.