Recensione Richard Jewell
L'incredibile vera storia di un eroe americano. O no?
I film di Clint Eastwood sono quei fenomeni (sociali e cinematografici) che non puoi non considerare. Sia perché l'autore è una leggenda della storia del cinema mondiale, sia per i tanti riconoscimenti che hanno contrassegnato la vicenda cinematografica di questo uomo della settima arte (sempre più considerato, dalla critica cinematografica, come buon regista anziché buon attore).
Negli ultimi anni Eastwood sembra quasi volerci regalare una sua personale e caratteristica visione dell'America, quasi come se fossero piccoli tasselli di un mosaico. Una grande piccola "comedie umaine" a stelle e strisce, che comprende storie particolarmente significative e, soprattutto, di coraggio. Era questa la vicenda del capitano Sully, era questa la storia (quasi documentaristica) dei militari sul quel maledetto treno con tanto di terrorista a bordo. A suo modo anche "The Mule" (per quanto film anomalo, perché si caratterizzava soprattutto per una grande performance attoriale di Eastwood) per certi versi raccontava quell'America.
Il nuovo film del regista "Richard Jewell" (in sala dal 16 gennaio) si inserisce pienamente in questo solco, attraverso la storia di un uomo qualunque, in bilico tra l'eroismo ed il male.
Richard Jewell (Paul Walter Hauser) è un dipendente della compagnia telefonica AT&T, che per puro caso si trova al posto giusto nel momento sbagliato: durante le Olimpiadi di Atlanta del 1996, sventa un attentato terroristico.
Ma lo sventa veramente?
E' il quesito del film, che più che dell'uomo ci parla del caso giudiziario.
Sam Rockwell e sopratutto Kathy Bates (nominata agli Oscar come miglior attrice non protagonista) fanno in realtà da sfondo (in quanto attori celebri e premiati) di una vicenda che è riassunta in un concetto: è più importante l'atto di Richard Jewell (che segnalando la presenza di un pacco sospetto durante un concerto salva un numero elevato di vittime dalla morte) o come egli si sente?
Perché Jewell è un semplice dipendente di un'azienda che si sente però nel suo essere un "rappresentante della sicurezza" l'idealtipo del cittadino statunitense di valore.
Quello della saga "Americana", di una certa filmografia del primo Henry King, in cui da un semplice gesto, da un semplice sentirsi utile per un paese (che è anche una missione) si può cambiare il senso della storia e la vita di molti essere umani.
Sentirsi in una comunità, quasi come propria missione di vita, attraverso modelli positivi, da portare sul grande schermo.
Questa sembra la mission del vecchio Clint, che alterna ad un certo lirismo riprese raffazzonate, quasi da serialità televisiva e ad alto uso di interni.
Del resto, il regista quasi novantenne ha sfornato un numero impressionate di film negli ultimi anni, e gli effetti non si possono che sentire. Un po' come questo "Richard Jewell" che ci lascia in sospeso (senza soluzione finale) tra un caso di coraggio da ammirare ed un prodotto filmico in certi casi del tutto privo di quegli elementi di eroismo che il buon Eastwood vorrebbe spingerci ad affrontare.
Ed è veramente un gran peccato.