Recensione Rocketman
Ormai è Biopic-Mania e questa volta è il turno di Elton John
Il cinema è sopratutto una vecchia questione di collegamenti. Tra storie, artisti, crediti. Pensando a Rocketman non può che venire la voglia di paragonare questo film a Bohemian Rapsody. Non soltanto perché il biopic sui Queen è stato di gran lunga il film di maggior successo dello scorso anno per quanto riguarda questo genere cinematografico, ma anche perché il regista che ha portato a termine le ultime sequenze del film avente come protagonista Rami Malek (a seguito dell'estromissione e della damnatio memoriae su Bryan Singer) è lo stesso del film dedicato e commissionato da Elton John: Dexter Fletcher.
Che differenze ci sono tra le due pellicole?
In primo luogo Bohemian Rapsody si configura come un film-biografia. Una storia del gruppo musicale dei Queen attraverso i loro brani. Per Rocketman l'operazione è diversa: si da' vita (su precisa indicazione di Sir John) ad un musical avente al centro la vita dell'artista scandendo i singoli passaggi biografici attraverso gli espedienti del genere musical, quasi come se fosse Mamma Mia! (storia con le musiche degli Abba) o addirittura Kismet di Minnelli (con musiche di Alexander Borodin).
Una via di mezzo tra musical e biopic che non si configura però come genere a parte, ma quasi come sottoprodotto di una scuola cinematografica ormai incapace di attrarre il grande pubblico attraverso idee nuove ed originali. Cercando di spingere le masse appassionate del grande artista a recarsi al cinema per rimpinguare botteghini e le sorti degli Studios. Il giovane Elton (qui lo speciale del nostro collega Cristiano Sanna) nasce da una famiglia meno "proletaria" di quello che la narrazione prevalente vuol far credere.
Ma sopratutto nasce da genitori anaffettivi (questo sì tipicamente borghese, alla Antonioni?) che bloccheranno il percorso di crescita e per certi versi anche artistico di un ragazzo che sin dalle prime sequenze (quella del piano) ci appare come predestinato all'arte e tutt'uno con la musica. In questo quadro Elton ci appare simpatico perché oppresso e benvoluto solo dalla nonna. A suo modo ci desta simpatia nel suo essere un 23enne di successo, un enfant prodige, un Mozart del rock and roll (primo brano suonato dal piccolo Hercules: la marcetta turca del salisburghese).
I problemi però (del film) vengono dopo. Dopo il successo.
La prevedibilità purtroppo regna sovrana: per quanto le vicende dei Queen e di Elton John abbiano dei punti di contatto, questi collegamenti sul fronte narrativo e scenico portano il film ad essere poco innovativo. Manager infedeli, vita dissoluta, droga, rapporti di coppia omosessuali (ma non soltanto) rappresentano l'anticonformismo conformista delle star del rock. E accomunano molti artisti. Ma possibile che il cinema contemporaneo non riesca comunque a portare questo canovaccio secondo una logica più prevedibile e meno scontata (sin dalla prima inquadratura capiamo, ahinoi, che del manager Reid non ci si può fidare)?
In un quadro di questo genere alcune sequenze (quella della colazione con la moglie) sembrano addirittura rimandare al filone del cinema epico e nel finale il videoclip della rinascita artistica di Elton John si sposta a Cannes, ad uso e consumo degli appassionati che hanno avuto modo di gustarsi questo film nell'ambito del più autorevole festival cinematografico del mondo.
Quasi invisibile (a occhio nudo) nella sua case londinese, un riferimento alla passione dell'artista per il pallone e una sciarpa con i colori del Watford, squadra che l'artista ormai ha deciso di vendere alla famiglia Pozzo qualche anno fa. Anche in questo caso, per stare accanto ai suoi bambini.