Recensione Terminator: Destino Oscuro
Il girl power del il futuro
Il franchise di Terminator sembra non volersi arrendere, nonostante i deludenti capitoli che hanno seguito “Il giorno del giudizio”; torna, infatti, in sala il 31 ottobre con il sesto film che taglia ed elimina di netto “Salvation” e “Genisys”. Terminator – Destino oscuro è diretto da Tim Miller (regista di Deadpool), un direttore artistico così bravo ad rendere intriganti le coreografie delle scene action da essere stato in grado di rendere questo capitolo esteticamente più accattivante dei precedenti.
La storia riparte 27 anni dopo la distruzione della Skynet da parte di Sarah Connor. Siamo in New Mexico quando un nuovo modello di Terminator modificato in metallo liquido, il Rev 9, intraprende la sua caccia per eliminare la giovane Dani Ramos (Natalia Reyes). Per proteggere Dani, dal 2049, arriva Grace (Mackenzie Davis), un soldato fisicamente ibridizzato che è disposto a tutto per cercare di tenere in vita Dani, ma le donne saranno costrette a chiedere aiuto per poter cercare di sconfiggere il Rev 9; sostegno che troveranno in un vecchio modello d T-800 (Arnold Schwarzenegger), lo stesso che ha ucciso John Connor.
Questo capitolo, come detto in precedenza, riesce a rende omaggio alla bellezza iconica che aveva permeato i primi due; le citazioni sembrano quasi costituire il tentativo di un sequel-reboot che riesce a traslare la storia rendendola contemporanea. Il futuro è donna ed è fatto dalla singole scelte che noi prendiamo, non vi è un qualche irrimediabile destino alla quale si è condannati, ma si può scegliere chi essere domani; questa è la morale che permea quasi tutti i dialoghi all’interno della pellicola e che si mostra come motrice dell’azione in scena.
Linda Hamilton torna in scena dopo un’assenza di 18 anni, e riveste divinamente i panni della madre che, senza il proprio bambino, ha perso lo scopo principale della sua vita. La caccia è l’unica cosa che continua a mandarla avanti. La giustifica sull’entrata in scena di Sarah è un po’ incerta, ma la caratterizzazione del suo personaggio riporta in auge quel potenziamento femminile di cui era stato vessillo fin dai primi due capitoli, allontanandosi persino dall’idea di senilità che molto spesso permea il mondo hollywoodiano. In sostanza La Hamilton, a 63 anni, spacca lo schermo esattamente come distruggeva i terminator nel film che più a contribuito alla sua carriera.
Mackenzie Davis, con la sua Grace, riesce a dar corpo a un personaggio decisamente interessante, diventando la vera forza muscolare su cui può fare affidamento il “bene”. Grazia anche alle sue caratteristiche fisiche mantiene il necessario grado di femminilità che le permette di muovere un personaggio in grado di non cadere nello stereotipo della donna soldato automaticamente mascolina.
Il personaggio di Dani, però, pur volendo scardinare la donna da quella figura di “madre del salvatore”, leggermente biblica, modernizzando il concetto di salvatore non ha realmente il carisma necessario per poter approfondire un’ideologia fin troppo visibile. Il suo appeal, dapprima inesistente, cresce lentamente man mano l’azione di fa più intensa, ma non fa di lei il vero mordente combattivo come invece ci fa capire dover essere Grace spiegandole come mai sia stata mandata a proteggerla.
Degno di nota è Gabriel Luna il cui volto glaciale e mono-espressivo lo rende credibile come cyborg, quando è però necessario, riesce a cambiare e camuffare l’insensibilità rendendosi sufficientemente umano. Del resto il Rev. 9 è un instancabile soldato che non si ferma se non ha soddisfatto il proprio ordine che non conosce neanche lontanamente l’umanità.
Arnold Schwarzenegger porta sullo schermo uno dei T-800 più diversi finora, quello più umano, ma in qualche modo anche quello più politicamente americano. In lui, ancora una volta, si incarnano tutti i principi che il puritanesimo a instillato negli anni nell’immaginario degli USA; il suo terminator ha costruito la sua casa sulla collina e in mancanza di uno scopo ne ha cercato uno del tutto personale, ma allo stesso tempo è texano e in quanto tale ha un arsenale degno di un mini-esercito di quartiere all’interno del suo garage. Una posizione paradossalmente anti-trumpiana che viene anche rintracciata visivamente nel passaggio del confine tra Messico e USA.
La comicità e la possibilità di rottura dei tempi viene lasciata nelle mani di Sarah e di T-8oo. Tra i due, considerati i loro trascorsi, vi è un clima tensivo che è in grado di scaturire buoni momenti di stacco dalla mera azione. Le battute stesse che Schwarzenegger possiede e il modo con cui vengono recitate contribuiscono alla creazione di un clima decisamente diverso dopo il suo arrivo nella banda.
Al di la del cast, tutto sommato on point, la CGI riesce a rendersi sufficientemente organica all’interno delle scene d’azione. Gli effetti che graficamente creavano i cyborg in passato sono stati ripuliti quel che bastava per poter dare una carezza alle abitudini visive del pubblico di oggi. La frenesia dei combattimenti, il montaggio serrato, si combina bene con gli effetti visivi e tra esplosioni o ferite robotiche lo sguardo dello spettatore non viene mai disturbato, ma al contrario gode di quello che ha a disposizione.
In sostanza si è davanti a una pellicola fin troppo densa di argomenti politicizzanti della Hollywood di oggi che però non hanno il giusto grado di approfondimento. Un’azione che riveste quel poco che ci viene mostrato di un messaggio positivo, che viene ridotto così tanto all’osso da essere banale, rischiando anche di essere scambiato per mero perbenismo. Un capitolo che avrebbe potuto fare molto di più, ma che si esaurisce in poco più di due ore di intrattenimento.