Red Zone - 22 miglia di fuoco

IL problema di film come Red Zone è sostanzialmente quello dell’equilibrio. Perché è abbastanza ovvio che nell’eterno scontro USA Vs. whatever saranno sempre i primi a prevalere. Resta solo da vedere il “come”. Ed è proprio sul come che Red Zone cade. La base del costrutto narrativo vede un team d’elite a stelle e strisce impegnato a salvare un informatore che può condurre il gruppo a recuperare un pericoloso agente radioattivo capace di radere al suolo intere città. Le 22 miglia citate nel titolo sono proprio quelle che separano il Red Team dalla salvezza, ma che saranno sufficienti a lasciare morte e distruzione nelle sulle strade della città coreana dove si svolge la maggior parte della pellicola firmata da Peter Berg.

Un intreccio già visto in tanti altri film del genere, che non riserva nemmeno particolari sorprese nell’assortimento del team delle meraviglie, dove troviamo l’elemento di punta (interpretato da Mark Wahlberg) perennemente focalizzato sul proprio lavoro, fino a diventare maniacale nella cura del dettaglio, una mamma che sacrifica la propria vita coniugale e la prole per dedicare la propria vita per il bene supremo e c’è, ovviamente, la carne da macello (ma con tanto onore, intendiamoci). Anche qui, poche novità, ma ci si può anche passare sopra.

Il problema “vero” arriva quando le cose arrivano al dunque e dove i nostri eroi devono mettere in campo la propria potenza di fuoco. E qui arrivano le spallate definitive alla sospensione dell’incredulità, perché da una parte troviamo ovviamente gli eroi dalla precisione pressochè infinita e che se proprio devono morire, lo fanno nel modo più stoico possibile, mentre dall’altra ci sono i classici beoti pronti a farsi centrare mentre corrono incontro a morte certa. E quando il super eroe Mark Whalber sopravvive a un paio di granate che mietono vittime tutte attorno a lui, ma da cui esce praticamente illeso, ecco che Red Zone inizia ad entrare in prossimità del film di fantascienza.

Ed è un peccato, perché il finale pensato da Berg è molto meno scontato di quanto si potrebbe pensare, ma si arriva a quel finale oggettivamente stanchi, dopo un’ora abbondante di scontri a fuoco al limite (e ben oltre) del credibile, intrisi di quella filosofia spicciola tutta a stelle e strisce che riesce davvero a stancare alla terza battuta. Sicuramente con una impostazione meno “machista”, Red Zone avrebbe funzionato sicuramente molto meglio. Così com’è è un film sicuramente trascurabile.