Riposare in pace: la vera strage dietro a una storia buttata via dal finale
Non tutto fila per il verso liscio: ecco trama, storia vera e recensione di Riposare in pace
Su Netflix dal 27 marzo è disponibile Riposare in pace, la storia di un uomo che approfitta di trovarsi nel luogo e nel momento di un’esplosione realmente avvenuta a Buenos Aires nel 1994, in seguito a un attentato terroristico.
Il film è tratto dal romanzo di Martin Baintrub, che ha collaborato a una sceneggiatura scritta per cambiare radicalmente la personalità del protagonista e della moglie. Per esempio, passando dal libro al film troveremo una situazione diversa da quella descritta - e fortemente ancorata al contesto socio-economico dell’epoca - che rende il protagonista meno partecipe della vita della comunità e la moglie un personaggio decisamente migliore rispetto alla donna odiosa ritratta dal libro.
La trama di Riposare in pace
Buenos Aires, 1994. Alla festa per il tredicesimo compleanno della figlia maggiore, Sergio (Joaquín Furriel) è preoccupato. La moglie Estela (Griselda Siciliani) e il figlioletto non sospettano, proprio come la festeggiata, che la famiglia sia sull’orlo del baratro. Sergio ha accumulato molti debiti. Non riesce più a pagare gli operai del suo stabilimento, la retta della scuola di sua figlia, e si rivolge alle persone sbagliate per cercare di ottenere più tempo. Tempo che non gli servirà a nulla, se non a finire sempre più vicino al baratro.
Quando, per pura coincidenza, si trova nei pressi della terribile esplosione per l’attentato (reale) avvenuto il 18 luglio del 1994 a Buenos Aires, decide di approfittare dell’occasione fingendosi morto e scappando in Paraguay dove, però, non riesce a rifarsi una vita. Il bisogno di sapere come stanno i suoi figli e la donna che una volta era sua moglie lo spinge a tornare indietro…
La storia vera dietro al film
L’esplosione che spinge la narrazione in una direzione nuova e inaspettata è reale. Siamo nell’estate del 1994 e il protagonista, Sergio, si trova nel quartiere Once di Buenos Aires per ritirare la collanina della figlia, portata a riparare. Quando esce dal negozio, viene investito dall’esplosione. Ebbene, si tratta di un’esplosione reale. Alle ore 9.53 del 18 luglio 1994, l’esplosione di un furgone imbottito di tritolo distrusse la sede della Associazione Israelo-argentina, proprio nel quartiere Once.
A trent’anni esatti di distanza, il film di Netflix - tratto dal romanzo di Baintrub - inserisce il terribile atto terroristico passato alla storia come l’attentato dell’AMIA (acronimo di Asociación Mutual Israelita Argentina, obiettivo dell’attentato) nella trama di una storia personale.
Il motivo per cui si tratta di un elemento molto forte è l’entità stessa dell’attentato: fu una strage. Ci furono infatti 85 morti, civili colpiti dalla bomba per il semplice fatto di trovarsi da quelle parti. I feriti furono più di 300 e l’attentato dell’AMIA è passato alla storia come il più grave in tutta la storia del Paese.
L’attentato all’ambasciata israeliana, sempre a Buenos Aires, che colpì due anni prima (nel marzo del 1992), aveva fatto contare 29 morti e 242 feriti, facendo dell’attacco del 1994 un evento tragicamente destinato a segnare un record negativo nella storia del Paese.
La scena in cui la moglie di Sergio si reca a chiedere notizie del marito, assistendo al riconoscimento dalla foto di tanti altri parenti, è basata su eventi reali.
Una strage senza colpevoli
Per l’attentato non ci furono mai arresti. Benché si sospettasse che l’attacco fosse stato orchestrato ed eseguito da Hezbollah, le indagini subirono molte battute d’arresto. Tanto che si parlò di insabbiamento.
Oltre vent’anni dopo la strage, infatti, il procuratore argentino Nisman depositò un documento di oltre 300 pagine in cui si accusava di fatto l'ex Presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner di aver insabbiato il ruolo dell’Iran nell’attentato. Poco prima di testimoniare proprio contro l’ex Presidente, il procuratore venne trovato morto. Le indagini conclusero che si trattasse di un suicidio, ma secondo la Corte Federale di Buenos Aires la morte di Nisman fu una “conseguenza diretta” del suo lavoro d’indagine sulla strage e delle accuse rivolte alla Presidente Kirchner.
Due anni dopo, nel 2017, il giudice Claudio Bonadio a Buenos Aires ha portato a conclusione il lavoro di Nisman, accusando Cristina delle accuse di Nisman contro la Kirchner. Nel 2017, il giudice argentino Claudio Bonadio ha formalmente accusato Fernández de Kirchner di tradimento, chiedendo al Senato l’autorizzazione dell’arresto della ex Presidente. Il processo si sarebbe dovuto tenere nel 2021, ma l’intero procedimento venne dichiarato nullo e la Kirchner fu prosciolta da ogni accusa.
Il 18 luglio di quest’anno verrà ricordato il trentesimo anniversario della strage, rimasta ancora oggi senza colpevoli ufficiali. Come accaduto già in passato, le sirene delle auto della polizia e dei vigili del fuoco suoneranno in tutto il Paese per ricordare le vittime della strage.
Padre, marito, fantasma: una storia non all’altezza delle premesse narrative
La storia di Sergio non è una storia così fantasiosa come potremmo pensare. Per il bene dei propri cari, che non hanno un futuro a causa dell’indebitamento che l’uomo ha tenuto nascosto alla famiglia, Sergio capisce di poter sfruttare un’occasione.
Trovarsi sul luogo della strage dell’AIMA gli offre l’opportunità di far sì che i suoi debiti vengano saldati dall’assicurazione sulla vita. La decisione di sparire matura nel tempo che Sergio passa prima sul luogo della strage e poi in ospedale, dove nessuno - comprensibilmente - gli chiede il suo nome.
Pensate al caos di dover gestire oltre 300 feriti da un momento all’altro, per non parlare delle vittime.
Tutto, nel racconto di Riposare in pace, è coerente e verosimile, fino a due terzi della storia. Incluso l’affetto che Sergio raccoglie per strada appena trasferitosi in Paraguay, una cagnolina bisognosa, che diventa il suo punto di riferimento. La sua famiglia.
Poi, le cose cambiano. Nel 1994 nessun argentino avrebbe mai potuto sognare l’imminente avvento di internet, figuriamoci quello dei social network. Ma è proprio questo, com’è stato nella realtà, a riportarlo indietro: dopo un fortuito incontro con qualcuno che lo riconosce, Sergio cerca la figlia su Facebook.
Ed è questo l’aspetto più interessante della seconda parte del film. Sergio vuole sapere. Vuole esserci. Vuole vedere i suoi figli. Sì, anche la donna che una volta era sua moglie, ma non è per lei che torna. Torna per sua figlia. Tutto il resto è una conseguenza del dolore di aver abbandonato i suoi figli, sebbene l’abbia fatto per il loro bene.
Fin qui, di nuovo, tutto bene. Il problema è scoprire con chi la sua famiglia - quella che ha abbandonato per salvarla - si è rifatta una vita. Sergio perde completamente il controllo. Il finale delude sotto ogni punto di vista, rendendo vano il lavoro fatto fino a quel momento.
Tutti avremmo voluto vedere la famiglia riunita, immagino. Così come tutti eravamo consapevoli che non poteva succedere, perché da certe scelte non si torna indietro. Da qui al modo in cui questa storia finisce, però, c’era un oceano intero di possibilità.
La conclusione è incoerente, affrettata, buttata lì per non doversi occupare troppo dei dettagli.
Purtroppo, questo ovviamente influisce sulla percezione dell’intera storia, che esercita un grande fascino sullo spettatore per quasi tutta la durata del film. Fino a quel finale sbagliato che, forse, perfino senza essere cambiato sarebbe risultato più appropriato con la costruzione delle sue premesse.
Invece si è voluto giocarsi il tutto nel modo più facile e veloce. Un gran peccato.