Robin Hood - L'origine della leggenda
Il dibattito su cosa sia il cinema (ad oltre cent’anni dalla sua nascita) e su quale elemento tra i tanti prevalga nella sua definizione, è ancora aperto e vede sul tavolo differenti interpretazioni. C’è chi sostiene che debba necessariamente prevalere l’elemento artistico, chi invece sottolinea quanto debba mantenersi forte un certo elemento di spettacolarità. Senza impantanarsi in diatribe ideologiche dalla così difficile risoluzione, possiamo limitarci ad osservare il presente per com’è. E nella lettura di questa contemporaneità non possiamo che osservare come dalle parti del sistema industriale di marca Hollywoodiana, l’elemento principale per la realizzazione di un film sia senz’altro quello dell’intrattenimento.
L’ultimo caso di questa impostazione cinematografica è questo Robin Hood – L’origine della leggenda, di Otto Bathurst e ci permettiamo di dire che è un caso perfetto, quasi un idealtipo di natura weberiana di cosa sia il cinema oggidì: in questa pellicola infatti non ci sono soltanto inseguimenti, duelli, colpi di scena e tutti quegli elementi fondamentali per privare la trama di qualsiasi elemento di introspezione, ma abbiamo anche di fronte una storia trita e ritrita. Una vicenda (quella dell’eroe che ruba ai ricchi per dare ai poveri) vista un centinaio di volte sul grande schermo.
Se infatti la versione in carne ed ossa più celebre legata all’arciere di Sherwood è quella del 1938 targata Michael Curtiz (regista di Casablanca) con Errol Flynn nella parte del protagonista e Claude Rains (imperdibile) in quella del Principe Giovanni, quella più vicina all’idem sentire è senz’altro quella dei primi anni ’70 targata Disney e con personaggi antropomorfi (Robin era una lucida volpe) nella parte dei protagonisti della vicenda. Per non parlare poi di quella di inizio anni ’90, con Kevin Costner (fresco dell’Oscar per Balla coi Lupi) nella parte del protagonista.
Di recente invece (correva l’anno 2010) addirittura il britannico Ridley Scott realizzò una versione di Robin Hood, col suo attore feticcio Russell Crowe nella parte del protagonista. Un tentativo di fornire elementi di originalità ad una storia ben conosciuta (addirittura qualcuno della critica definì il Robin Hood di Scott come il prototipo del “leghista”) ma che in realtà si inseriva nello stesso solco di cui sopra: servono incassi, servono duelli, non servono nuove idee. E su questa scia si inserisce anche l’ultima versione firmata da Bathurst.
In un’ottica di sottogenere: riproporre la storia di Robin in chiave steampunk, ancora più action e con un protagonista ancora più giovane. Per un prodotto, ancor di più, formato teenager. La scelta del regista e dei produttori, in questo caso, (tra cui Leonardo DiCaprio) è stata quella di iniziare le avventure di Robin (un ingessato Taron Egerton) dalla sua esperienza di cavaliere crociato. Qui in Terra Santa conoscerà (dopo numerosi alterchi) il moro "John" (interpretato da Jamie Foxx) con cui riuscirà a tornare a Nottingham.
Qui però non trova (come nelle vicende più note) un principe usurpatore, ma un futuro distopico: una città divisa in classi in cui alle rigide linee orizzontali dell'urbanistica cittadina si unisce il degrado delle miniere, dove vivono gli sfruttati e sopratutto le vittime delle angherie fiscali dello Sceriffo di Nottingham, desideroso di incassare tutti quei quattrini per un sofisticato disegno geopolitico che non anticipiamo per salvaguardare la suspance.
La chiave, dunque, fumettistica (citata sopratutto nei titoli di coda) e l'elemento futuristico di una società che a tratti sembra la Metropolis di Fritz Lang, a tratti una dittatura qualsiasi, fai il paio con una narrazione ed una sceneggiatura soltanto abbozzata ed in cui i duelli e i lanci di frecce tolgono gran parte dello spazio a qualsiasi ipotesi di approfondimento.
Anche la scelta del cast su questo fronte non aiuta. Lo sceriffo è un poco credibile Ben Mendelsohn, ormai un villain professionista tra Rogue One e Ready Player One di Spielberg, e Marian (che attenzione: non ha nessuna parentela col Re d'Inghilterra, mai coinvolto nella vicenda, ma è una semplice popolana promessa a Robin che però cambia idea durante la di lui trasferta in Terra Santa) è interpretata da un'ancor meno credibile Eve Hewson. Come poi il personaggio di John sia interpretato (pur essendo formalmente un personaggio arabo) da un attore che parla un inglese quasi di marca shakesperiana, risulta un vero mistero. La presenza, infine, del Premio Oscar F. Murray Abraham nel ruolo del terribile Cardinale, rende le pellicola ancora meno credibile e inseribile in quella branca del cinema di Renzo Martinelli che va da "Il mercante di pietre" con Harvey Keitel a "11 Settembre 1683".
Da questo punto di vista si può considerare l'opera prima cinematografica di Bathurst come un'opera monca. O meglio: come un'opera delle contraddizioni, in cui si da vita ad un elaborato e (nei desiderata degli autori) sofisticato lavoro scenografico e di rielaborazione storica (Robin che gira in tuta, lo sceriffo che indossa una non troppo ricercata giacca ben visibile in qualsiasi ufficio comunale moderno) quasi da film per adulti, con una storia che in realtà non distingue questa pellicola dai tanti polpettoni sui personaggi storici tanto in voga di questi tempi.