Scappo a casa

Enrico Lando è forse l'unico vero mestierante (assieme a Volfango De Biasi) della nuova generazione del cinema italiano. Si è caratterizzato in questi anni per la realizzazione di commedie avente al centro grandi comici, perlopiù provenienti dal successo televisivo (I soliti idioti, Pio e Amedeo). Questa volta gli è stato però commissionato un piccolo rischio: realizzare una pellicola avente come protagonista assoluto il membro del trio più celebre della televisione italiana contemporanea.

Non è la prima volta che i singoli membri del gruppo di Aldo, Giovanni e Giacomo si trovano da soli in un film per il cinema (basti pensare a “Ci vuole un gran fisico” di Sophie Carello, con Giovanni Storti nel cast). Ma è la prima volta che uno di loro si trova totalmente al centro della scena. Questo film e questo rischio è rappresentato da “Scappo a casa”, che vede il protagonista al centro di una trama avente come oggetto il tema dell'immigrazione.

Michele (Aldo Baglio) fa il meccanico per autovetture di lusso. Ma è come se vivesse una vita parallela del tutto finta: gira con macchine sportive che prende in prestito dall'officina dove lavora, frequenta molte donne, ma perlopiù tramite i siti web di incontri e, sopratutto gira con un assurdo parrucchino per coprire le sue calvizie. Inutile dire che appartiene alla categoria dell'italiano ignorante, razzista e poco aperto al mondo esterno.

Un giorno però si trova catapultato in una realtà del tutto nuova: viene arrestato a Budapest (dove si trova per un ipotetico “viaggio di lavoro”) e scambiato per un immigrato tunisino. Vivrà l'esperienza del centro di detenzione per poi tentare la fuga assieme ad altri “immigrati” come lui di origine nigeriana. Tra una gag e l'altra, vivrà diversi contesti, e lo spettatore avrà l'occasione di immergersi in diverse ambientazioni.

Il film senz'altro appartiene alla categoria delle opere che guardano al presente per trarne delle lezioni. E possiamo dire che il film di Lando non soltanto si focalizza sul dramma della rotta balcanica e sulla riottosità (e poca apertura mentale e politica) da parte dei paesi dell'Europa orientale e del cosiddetto “Gruppo di Visegrad”.

Ma cerca pure di fornire degli elementi di innovazione cinematografica che rendono “Scappo a casa” una piccola, grande, esperienza visiva. Il protagonista Michele infatti si trova a girare per Milano, a guidare un bolide nella splendida Budapest (con riprese dall'alto mozzafiato, e con un sapiente gioco di luci che fa spiccare la maestosità del Parlamento magiaro, del Ponte della Catene e della visuale cittadina dalla Statua della Libertà cittadina), ma avrà anche a che fare con la sporcizia, coi posti di blocco, con le cascine diroccate e con le splendide cascate slovene.

Scandisce la vicenda la colonna sonora del maestro Fabrizio Mancinelli (direttore d'orchestra della colonna sonora del film Premio Oscar 2019 “Green Book”), ma sopratutto il brano originale del film “Chiedimi come” cantato dal quintetto vocale degli Oblivion, al loro esordio musicale in una pellicola cinematografica. Se il brano portante del film (che si può ascoltare sia nei titoli di coda sia nelle bellissime sequenze girate a Budapest) consente allo spettatore di addentrarsi in diversi sound ed in differenti generi musicali (in meno di tre minuti) che spaziano dal pop, al funky per addirittura passare alla lirica, Michele si trova anche lui a sui modo in tourbillon scenografico che sembra rifarsi fedelmente alla differenziazione della partitura musicale.

In questo senso si respira un senso di omogeneità narrativa (in cui i personaggi sono molti e ben caratterizzati, ma tutti oggettivamente di complemento alla verve comica di Aldo Baglio) in cui spiccano due ciliegine sulla torta.

In primo luogo la contestualizzazione storica della vicenda narrata, collocata tra il 16 ed il 26 giugno del 2018, e che segue come filo la performance (conclusasi al primo turno) della nazionale nigeriana di calcio nel corso degli ultimi mondiali di calcio in Russia (è ben visibile il gol di Messi in Argentina-Nigeria, mentre appare un piccolo errore di sceneggiatura, con i personaggi di origine nigeriana che guardano Croazia-Nigeria...di pomeriggio e non alle 9 di sera come realmente avvenuto!).

In secondo luogo il film ha un numero esorbitante di citazioni cinematografiche, che pescano sopratutto nel campo dell'ampia tradizione del western all'italiana. Basti pensare alla complementarietà dei personaggi interpretati da Albo Baglio e del caratterista francese Jacky Ido, che ricordano Clint Eastwood e Eli Wallach ne “Il buono, il brutto e il cattivo” (anche il personaggio di Michele conosce un codice segreto che spinge il suo compagno di viaggio a doverlo trattare bene per accedere ad un “ricco bottino”) oppure alle citazioni da “Vado, l'ammazzo e torno” di Enzo G. Castellari con Michele intento a svaligiare un frigorifero alla ricerca di viveri.

Anche il finale, a suo modo (con quel “stro...” apparentemente monco pronunciato dal protagonista mentre torna in territorio sloveno) è del resto un omaggio (oltre che al finale di “Indio Black, sai che ti dico: sei un gran figlio di...” di Gianfranco Parolini) all'urlo finale di Eli Wallach nella pellicola leoniana con Lee Van Cleef e Clint Eastwood. Anche in quel caso del resto la parolaccia e l'imprecazione si fondeva con la musica, come un magico accordo. A questo modello così alto, sembra rifarsi il film di Lando.

Ed è punto di vista molto originale, di questi tempi.