Se son rose
L'intervista al cast
Leonardo, giornalista cinquantenne divorziato, ha da tempo rinunciato all’amore, preferendo vivere un rapporto ‘libero’ con donne più giovani. La figlia 15enne Yolanda, però, pensa che il padre abbia solo bisogno di una spintarella per rimettersi in gioco e così manda via mail un ‘riproviamoci’ a tutte le sue ex. Quattro di loro rispondono all’appello e Leonardo, per amore della figlia, è costretto a stare al gioco...
Tredicesima regia di Leonardo Pieraccioni, Se son rose... segna il ritorno sul grande schermo dell’attore-regista fiorentino dopo una pausa più lunga del solito (tre anni anziché i canonici due) e, in un certo senso, rappresenta forse (forse!) l’inizio di un nuovo corso. Un nuovo co-sceneggiatore, Filippo Bologna anziché il fidato Giovanni Veronesi, il quasi definitivo distacco dai soliti compagni d’avventura (Ceccherini, Papaleo etc.) e un gruppo di attrici italiane per una pellicola corale che potrebbe essere, in un certo senso, il secondo tempo di Fuochi d’artificio. Ma se nel film del 1997 il protagonista si barcamenava nell’universo femminile alla ricerca del vero amore, qui invece Pieraccioni inizia un ‘viaggio a ritroso’, alla ricerca delle cause che quel vero amore lo hanno soffocato e fatto finire anzitempo.
Trattandosi di una commedia, tuttavia, ci vuole poco a capire che il tuffo nei ricordi è soprattutto un pretesto per far risaltare il talento delle attrici in scena. E qui iniziano le note dolenti: la sceneggiatura, infatti, risulta spesso abbozzata e superficiale. Nessuno chiede un trattato sociologico, per carità, ma ad esempio vedere il protagonista, un giornalista divorziato, vivere in una specie di reggia è un grosso attentato alla sospensione d’incredulità. Ed è un peccato vedere attrici dotate come Caterina Murino e Antonia Truppo ridotte a macchiette, apparizioni fugaci che strappano una risata o poco più. Meglio va a Claudia Pandolfi e Gabriella Pession, i cui personaggi risultano decisamente più convincenti e realistici.
Sul fronte della storia, invece, lo script dimostra una maggiore compattezza rispetto alle ultime fatiche di Pieraccioni, e il finale sincero (l’amore può finire e ce ne faremo una ragione) lascia ben sperare per le prossime prove del Leonardo nazionale, al quale probabilmente serve – oggi più che mai – un co-sceneggiatore capace di tenerne a freno l’anima puramente ‘battutara’.