Self/Less

di Roberto Vicario
Il nome di Tarsem Singh é legato principalmente ad un discreto thriller con protagonista Jennifer Lopez chiamato The Cell. In quella pellicola il regista indiano era riuscito a trasmettere al pubblico tutta la sua carica visionaria e fuori dal comune. Purtroppo, nei prodotti successivi da lui diretti, quella vena é venuta a mancare, e proprio quest'ultimo film, intitolato Self/less, punta a diventare la pellicola della riconferma del regista.

Memorie confuse…

La storia, sulla carta, é sicuramente accattivante. Seppur non originale nell'universo hollywodiano, il concetto di “allungare la vita” é stato fonte di ispirazione per diversi prodotti ben riusciti e persino con degli spunti riflessivi piuttosto marcati.

Qui il protagonista é Damian Hale (Ben Kingsley) un ricchissimo uomo di New York che ha fatto la sua fortuna nel campo dell'edilizia. Purtroppo alla soglia dei sessant'anni la sua vita é sempre più consumata da un tumore che sembra non lasciargli scampo. Il poco tempo a disposizione che gli rimane cerca di investirlo nel recuperare un rapporto con la figlia - attivista di professione - ormai completamente sfilacciato.

Tutto cambia nel momento in cui viene a scoprire di una tecnica innovativa chiamata “shedding”. La società che offre questa possibilità, sostanzialmente trasferisce all'interno di un corpo sano e giovane creato artificialmente in laboratorio, la memoria della persona in fin di vita. Il cambio di identità e la necessità di prendere quotidianamente delle pillole sono le uniche due condizioni imposte dalla società per poter effettuare questa pratica.

Trasferitosi a New Orleans - città utilizzata per la maggior parte all'interno del film - il nuovo Damian prende dimestichezza con la ritrovata agilità e fisicità del suo nuovo corpo, gentilmente concesso dall'attore statunitense Ryan Reynolds. Quello che potrebbe sembrare un lieto fine diventerà invece l'inizio di un incubo nel momento in cui Damian inizierà a fare strani sogni di persone e luoghi che non ha mai conosciuto o visitato, e scoprendo che quel corpo non é stato creato in maniera artificiale ma é appartenuto a qualcun altro prima…

Il film di Singh, come avrete sicuramente letto in queste righe, parte quindi da un incipit che può sembrare sulla carta anche interessate, ma che purtroppo si infrange a contatto con il muro di una sceneggiatura - a cui hanno lavorato David e Alex Pastor - che non solo non riesce mai ad attecchire completamente nella curiosità dello spettatore, ma troppo spesso sorvola con estrema banalità quesiti e domande che lo spettatore giustamente si pone, scivolando in maniera piuttosto rapida nell'assurdo.

Se la prima parte del film ci racconta la teoria interessante di una società privata che non vuole rivelare al mondo i propri metodi, ma soprattutto di una persona che vede la sua memoria all'interno di un'altra persona, la seconda parte accantona - quasi volutamente - tutte queste teorie, per scivolare nell'action thriller più che mai banale, condito da una serie di cliché che oltre a sapere di già visto, a tratti irritano lo spettatore.

A parte scene di deliri fisici che Reynolds cerca di trasmettere allo spettatore attraverso una serie di spasmi decisamente poco convincenti, tutta la questione dello “shedding” sembra quasi uno strumento utile a raccontare una storia semi action, piuttosto che offrire quegli spunti che altri film sui generis hanno cercato di porre allo spettatore, senza necessariamente sacrificare la parte dello spettacolo.

Il tutto poi assume una vena grottesca nel momento in cui si arriva al finale della pellicola, una serie di scelte senza senso e che trasmettono in maniera ancora più chiara e netta l'assurdità della pellicola, lasciando più domande che risposte nella testa dello spettatore.

Lo stesso regista, sicuramente non aiutato dalla sceneggiatura, trasmette molta incertezza in più di una scena, in cui la camera scivola su determinati particolari che tentano di ingannare lo spettatore provando a far spostare la sua attenzione su piccoli pezzi di un puzzle che, anche una volta messi assieme, non riescono comunque a dare un'immagine chiara dell'insieme.

In tutto questo poi, se da una parte troviamo la breve ma comunque valida prova di un sempre convincente Ben Kingsley, dall'altra la presenza di Ryan Reynolds toglie ulteriore spessore al personaggio tormentato dalle due memorie che si cerca di raccontare all'interno di questa pellicola. L'espressività é ridotta a zero, e i momenti di pathos (se così vogliamo chiamarli) o di suspence, vengono irrimediabilmente segnati da una credibilità del personaggio che in circa due ore di pellicola non riesce mai realmente a decollare.


Self/Less é il classico prodotto che tende a mostrarsi come un film complesso e dai molteplici spunti riflessivi, salvo poi rivelarsi una pellicola estremamente guidata, incanalata all'interno di quel “tunnel della banalit” che troppi film di Hollywood ultimamente stanno decidendo di percorrere. Noi di Gamesurf non ce la sentiamo di consiglirvi di andare al cinema; piuttosto se siete appassionati del genere e siete comunque curiosi di vedere come é andata, aspettate il primo passaggio in televisione.