Silent Night, recensione: il ritorno di John Woo che fa male
John Woo è tornato, ma Silent Night è una sonora delusione: l’impressione è che il cinema sia diventato piccolo, non viceversa.
Silent Night è davvero un brutto film, un ritorno che l’anziano regista John Woo non si merita. Noi forse però sì, perché, con le nostre scelte abbiamo spinto il cinema action in questa direzione.
Da una parte ce la patinatissima Hollywood di John Wick, che a ogni film è sempre più esecuzione e stile, ma lontana dalla realtà, fino a limiti del ridicolo ampiamente sfondati al quarto titolo del franchise. Una Hollywood che a menar le mani ha imparato proprio da registi come John Woo, che a tratti cita, ma è andata in direzione differenti, lontane dal realismo, pucciate nell’iperbole fine al divertimento e a sé stessa.Dall’altra parte c’è il ritorno di John Woo in terra statunitense, da cui si era allontanato ai tempi di Paycheck (2003).
Silent Night è davvero una cocente delusione. Girato in terra messicana, con pochi soldi e pochissimo tempo a disposizione, Silent Night dovrebbe, vorrebbe essere una risposta alla Hollywood spendacciosa e iperstilizzata. Un ritorno al cinema fatto con poco, che sostituisce l’effetto speciale alla realtà delle sequenze, dei corpi, degli stunt.
Invece nel 2023 pochi soldi e poco tempo fanno rima con effetti speciali di bassa fattura, che mettono una pezza laddove creatività, ingegno e artigianalità sembrano dimenticati. Il film si apre con un palloncino rosso, trita metafora di quel che la storia ha in serbo per noi, che vola alto nel cielo, mentre a terra si consuma una tragedia familiare e personale. Un brutto palloncino CGI che anticipa tutte le ritoccatine che vanificano ogni tentativo di materialità, realismo, forza che questo film tenta di mettere in campo.
È il trionfo dell’effetto speciale, ormai passato dai grandi film ai piccoli progetti, in versione dozzinale, approssima. Un po’ come il tragico maglioncino color ceruleo, che dopo le passerelle e tanti cicli di alta moda atterra nel cestone delle occasioni da cui John Woo come Andy de Il diavolo veste Prada lo pescherà pensando chissà, forse perfino di andare contro il sistema.
Continua a leggere la recensione di Silent Night:
La trama di Silent Night
Brian Godluck (Joel Kinnaman) è un padre di famiglia che vede il figlio spegnersi tra le sue braccia, colpito da un proiettile vagante sparato durante un inseguimento in auto tra gang. Pazzo di dolore, insegue i criminali, rimediando un colpo alla gola che quasi lo uccide e lo priva della voce.
Risvegliatosi, affonderà prima nell’alcol, poi in una fantasia di vendetta che gli alienerà prima l’affetto della moglie, poi qualsiasi contatto umano, portandolo in pochi mesi a ordire un elaborato piano per far fuori tutti i ricercati che sospetta aver avuto un ruolo nella morte del figlioletto.
Perché Silent Night è una cocente delusione
Silent Night potrebbe essere un film grandioso nel raccontare, con la sua allegoria, l’incapacità di un certo tipo di maschio di vocalizzare le proprie emozioni, soprattutto quelle più atroci e difficili da superare. Brian perde la voce e rende letterale quest’incapacità di verbalizzare ciò che prova. Si rivolge quindi all’alcol, poi a una vendetta che diventa l’unico modo per scendere a patti con quanto successo.
il film ha come punto forte, anche per la propria campagna promozionale, quello di essere costretto al silenzio del suo protagonista. Pochissime frasi di dialogo, qualche sussurro e poi l’immagine a raccontare: quasi un film muto. Sulla carta è un’idea splendida per un film a basso budget che riporti in auge i revenge movie di un tempo.
La carta però è la prima colpevole: quella su cui lo sceneggiatore Robert Archer Lynn ha scritto un film che si ferma ancor prima di quanto abbiamo fatto quei film di vendetta, cattivi, rozzi e arrabbiati di un tempo. Il valore che il film ha in sé non raccontare questa metafora, bensì il banale escamotage per creare un qualcosa di differente dall’ultima decina di film con Liam Neeson protagonista. Ci mancava giusto un film che racconti con assoluta superficialità, senza problematizzare e anzi quasi sposando la reazione involuta e viscerale del suo protagonista, a certificare la voglia del momento di reazionarietà, la nostalgia dell’uomo così forte da non proferire parola mentre distrugge la sua vita pezzo per pezzo per vendicare il figlio. Il tutto vedendo l’intero processo come, se non positivo, quantomeno scontato, prevedibile, inevitabile.
Una brutta sceneggiatura infarcita di stereotipi. Vero è che da un film action ci si può e deve aspettare certi passaggi agili e magari non tagliati di fino, il punto è un altro. D'accordo, ma il film a più riprese esaspera così tanto la situazione in cui si trova il protagonista - che in pochi mesi fa, da uomo bianco senza preparazione militare, crea un dossier dettagliatissimo sui covi e i membri delle gang latine della zona - da far venire da ridere. John Woo fa quello che può e lo si scorge, a tratti. Solo che quando la situazione si fa dura, non gli viene più chiesto di giocare, ma di lasciar fare agli effetti speciali. Ne risulta un film così trattenuto sul lato stunt, bruttarello su quello digitale generato dai computer.
L’incolpevole Joel Kinnaman fa quel che può con cui una storia che, presentandosi come la summa degli stereotipi di genere, ci sguazza dentro, impunemente, senza mai tentare di andare oltre o almeno farli funzionare. Così quando si arriva al climax emotivo del film, riflesso su una pallina di Natale, viene su non un singhiozzo, ma una risatina imbarazzata.
La sconfitta di Silent Night è quella di essere un film tutto giocato sul racconto visivo e su premesse che sappiamo a menadito che, al posto di essere asciutto e minimalista, si dilunga in una ventina di minuti senza dialoghi per raccontarci la più scontata delle tragedie cinematografiche action: la morte di un familiare che scatena la vendetta. Il bambino e la moglie, a loro volta muti perché quasi privi di battute, non sono in alcun modo caratterizzati, perciò la loro perdita non è più grave che in qualsiasi altro onesto action da cassetta, ma solo mortalmente più lenta.