Snowpiercer
di
Roberto Vicario
Snowpiercer, ultima fatica cinematografica del talentuoso regista sud coreano Bong Joon-Ho, sbarca finalmente anche in Italia, a distanza di diversi mesi dall'uscita in patria e nel territorio francese - unica regione europea ad avere rispettato l'uscita fissata -.
Abbiamo preso parte ad una anteprima stampa del film che vedremo sui nostri schermi a partire dal prossimo 27 febbraio (in versione completa e non tagliata come successo in altri stati), e in questo speciale vi raccontiamo di un'esperienza cinematografica completa, ricca di spunti e condita da quel tasso d'azione che il cinema koreano non ha mai disdegnato.
Un trattato di sociologia sulle rotaie
Bong Joo-ho ha investito tantissimo tempo e risorse per cercare di portare su schermo una graphic novel francese chiamata “Le Transperceneige” (a ridosso dell'uscita della pellicola si potrà trovare anche la versione in lingua italiana), cercando di adattarla al grande schermo e co-sceneggiandola insieme a Kelly Masterson. Quello che ne é uscito é un vero e proprio blockbuster, con tanto di co-produzione statunitense, cast principalmente occidentale e recitazione in lingua inglese. Questi elementi non hanno però “intaccato” la qualità della pellicola che, ancora una volta dopo Memories of Murder, The Host o il più recente Madre, ha saputo mettere in mostra tutte le qualità di Bong.
Nel 2031, in un futuro distopico, l'uomo sta subendo i danni di uno scellerato esperimento che aveva l'obiettivo di andare a ridurre la temperatura terrestre, cercando così di combattere la sempre più preoccupante situazione del buco dell'ozono. L'esperimento fallisce, e fa piombare la terra in una sorta di nuova glaciazione perenne. Gli unici sopravvissuti sono i passeggeri “dell'arca sferragliante”, un treno creato da un magnate dell'industria ferroviaria di nome Wilford che, mosso da un motore perpetuo, compie costantemente il giro del mondo attraverso i cinque continenti in un anno.
Sui vagoni che compongono questo treno lunghissimo treno, vi sono dei veri e propri microcosmi che vanno a ricreare i differenti strati sociali. Partendo dal vagone di testa in cui troviamo il “divino” Wilford, passando per i vagoni dei ricchi e quelli in cui vengono ricreati habitat per la conservazione di cibi e animali, sino ad arrivare ai vagoni di coda in cui gli strati sociali più bassi vivono in condizioni di igiene e spazio a dir poco drammatiche. Persone trattate più come prigionieri che come esseri umani.
Poveri, stanchi delle angherie e delle umiliazioni subite, questi uomini cercheranno la loro rivalsa attraverso una rivolta che punta direttamente alla cabina di Wilford e a ristabilire una sorta di equità sociale. A comandare la rivolta ci sarà un convincente e carismatico Chris Evans (avete presente Capitan America?), spalleggiato da un feroce ed irrequieto Jamie Bell, da una vulcanica Octavia Spencer, un inaspettato Song kang-Ho e dal sempre impeccabile John Hurt.
Un Evans decisamente convincente dicevamo, che si cala perfettamente nella parte di Curtis - leader di questa fazione senza apparente speranza - ed in grado di trasmettere allo spettatore tutta la rabbia e la volontà di rivalsa attraverso gesti e parole. A fare da contraltare a questa figura vi é una splendida Tilda Swinton che nei panni di Mason - il vicecapo di Wilford - attraverso il suo volto sfigurato e decisamente viscido, porta in scena alcuni dei peggiori tratti caratteriali dell'essere umano.
Quello che ne esce sono 126 minuti di puro trattato sulla sociologa e sulla psicologia umana. Una visione cupa, quasi senza speranza, di quello che l'uomo é in grado di fare pur di raggiungere i suoi obiettivi, nel bene o nel male. Bong indaga, scruta e cerca con la camera dettagli e particolari sui volti dei protagonisti di questa pellicola, riuscendo a dare quel tocco d'autore in grado di regalare profondità e dignità a tutti gli attori presenti nel cast.
Aiutato dalle spettacolari scenografie di Ondei Nekvasil e da una superlativa fotografia di Honh Kyung-Pyo, il passaggio da un vagone all'altro, altro non é che un ulteriore passo all'interno della follia umana, dell'avidità che pervade i nostri gesti, sino ad arrivare a quel fatale, ineluttabile e quasi obbligato destino che, attraverso uno splendido monologo di Ed Harris, mette in ginocchio l'animo non solo del protagonista ma anche dello spettatore.
Per arrivare a questo Bong, fedele alla linea del cinema koreano, passa attraverso la violenza come strumento di rivalsa, fatta di scontri con accette, spranghe, coltelli e altre armi bianche, che macchiano di sangue i protagonisti ed i vagoni del treno, in un escalation di situazioni che anche in questo senso, sono in grado di trasmettere l'efferatezza della mentalità umana, in un mosaico dove tutti sono sacrificabili.
Non si poteva chiedere davvero di più a Bong Joon-Ho. Un film che non perde mai di ritmo e che alterna spericolate riprese in grado di dare profondità ai semplici vagoni del treno, passando per alcune memorabili situazioni come lo scontro sotto la galleria o un delirante frangente canoro, sino ad arrivare a dialoghi mai banali tra i diversi protagonisti che costantemente mettono in mostra l'obiettivo che si prefigge questo lungometraggio.
Una pellicola in cui si vede un po di quel “1984” di George Orwell, in cui la società é controllata, gestita e comandata sotto ogni suo aspetto, e come dice un personaggio all'interno del film “ognuno ricopre il suo ruolo all'interno dell'ingranaggio.”
Un film perfetto? Non proprio. Vista la distorta visione di un mondo alla fine non così distante dal nostro, ci sarebbe piaciuto vedere un finale diverso e senza quella flebile speranza tipica più del cinema americano più che di quello koreano. Ma come visto in altri suoi film, anche in questo caso Bong rimane fedele al suo modo di fare cinema, regalando una semplice e piccola speranza al genere umano. Basterà?
Un film consigliato a tutti gli amanti di cinema con la C maiuscola.
biglietti: 5/5
Abbiamo preso parte ad una anteprima stampa del film che vedremo sui nostri schermi a partire dal prossimo 27 febbraio (in versione completa e non tagliata come successo in altri stati), e in questo speciale vi raccontiamo di un'esperienza cinematografica completa, ricca di spunti e condita da quel tasso d'azione che il cinema koreano non ha mai disdegnato.
Un trattato di sociologia sulle rotaie
Bong Joo-ho ha investito tantissimo tempo e risorse per cercare di portare su schermo una graphic novel francese chiamata “Le Transperceneige” (a ridosso dell'uscita della pellicola si potrà trovare anche la versione in lingua italiana), cercando di adattarla al grande schermo e co-sceneggiandola insieme a Kelly Masterson. Quello che ne é uscito é un vero e proprio blockbuster, con tanto di co-produzione statunitense, cast principalmente occidentale e recitazione in lingua inglese. Questi elementi non hanno però “intaccato” la qualità della pellicola che, ancora una volta dopo Memories of Murder, The Host o il più recente Madre, ha saputo mettere in mostra tutte le qualità di Bong.
Nel 2031, in un futuro distopico, l'uomo sta subendo i danni di uno scellerato esperimento che aveva l'obiettivo di andare a ridurre la temperatura terrestre, cercando così di combattere la sempre più preoccupante situazione del buco dell'ozono. L'esperimento fallisce, e fa piombare la terra in una sorta di nuova glaciazione perenne. Gli unici sopravvissuti sono i passeggeri “dell'arca sferragliante”, un treno creato da un magnate dell'industria ferroviaria di nome Wilford che, mosso da un motore perpetuo, compie costantemente il giro del mondo attraverso i cinque continenti in un anno.
Sui vagoni che compongono questo treno lunghissimo treno, vi sono dei veri e propri microcosmi che vanno a ricreare i differenti strati sociali. Partendo dal vagone di testa in cui troviamo il “divino” Wilford, passando per i vagoni dei ricchi e quelli in cui vengono ricreati habitat per la conservazione di cibi e animali, sino ad arrivare ai vagoni di coda in cui gli strati sociali più bassi vivono in condizioni di igiene e spazio a dir poco drammatiche. Persone trattate più come prigionieri che come esseri umani.
Poveri, stanchi delle angherie e delle umiliazioni subite, questi uomini cercheranno la loro rivalsa attraverso una rivolta che punta direttamente alla cabina di Wilford e a ristabilire una sorta di equità sociale. A comandare la rivolta ci sarà un convincente e carismatico Chris Evans (avete presente Capitan America?), spalleggiato da un feroce ed irrequieto Jamie Bell, da una vulcanica Octavia Spencer, un inaspettato Song kang-Ho e dal sempre impeccabile John Hurt.
Un Evans decisamente convincente dicevamo, che si cala perfettamente nella parte di Curtis - leader di questa fazione senza apparente speranza - ed in grado di trasmettere allo spettatore tutta la rabbia e la volontà di rivalsa attraverso gesti e parole. A fare da contraltare a questa figura vi é una splendida Tilda Swinton che nei panni di Mason - il vicecapo di Wilford - attraverso il suo volto sfigurato e decisamente viscido, porta in scena alcuni dei peggiori tratti caratteriali dell'essere umano.
Quello che ne esce sono 126 minuti di puro trattato sulla sociologa e sulla psicologia umana. Una visione cupa, quasi senza speranza, di quello che l'uomo é in grado di fare pur di raggiungere i suoi obiettivi, nel bene o nel male. Bong indaga, scruta e cerca con la camera dettagli e particolari sui volti dei protagonisti di questa pellicola, riuscendo a dare quel tocco d'autore in grado di regalare profondità e dignità a tutti gli attori presenti nel cast.
Aiutato dalle spettacolari scenografie di Ondei Nekvasil e da una superlativa fotografia di Honh Kyung-Pyo, il passaggio da un vagone all'altro, altro non é che un ulteriore passo all'interno della follia umana, dell'avidità che pervade i nostri gesti, sino ad arrivare a quel fatale, ineluttabile e quasi obbligato destino che, attraverso uno splendido monologo di Ed Harris, mette in ginocchio l'animo non solo del protagonista ma anche dello spettatore.
Per arrivare a questo Bong, fedele alla linea del cinema koreano, passa attraverso la violenza come strumento di rivalsa, fatta di scontri con accette, spranghe, coltelli e altre armi bianche, che macchiano di sangue i protagonisti ed i vagoni del treno, in un escalation di situazioni che anche in questo senso, sono in grado di trasmettere l'efferatezza della mentalità umana, in un mosaico dove tutti sono sacrificabili.
Non si poteva chiedere davvero di più a Bong Joon-Ho. Un film che non perde mai di ritmo e che alterna spericolate riprese in grado di dare profondità ai semplici vagoni del treno, passando per alcune memorabili situazioni come lo scontro sotto la galleria o un delirante frangente canoro, sino ad arrivare a dialoghi mai banali tra i diversi protagonisti che costantemente mettono in mostra l'obiettivo che si prefigge questo lungometraggio.
Una pellicola in cui si vede un po di quel “1984” di George Orwell, in cui la società é controllata, gestita e comandata sotto ogni suo aspetto, e come dice un personaggio all'interno del film “ognuno ricopre il suo ruolo all'interno dell'ingranaggio.”
Un film perfetto? Non proprio. Vista la distorta visione di un mondo alla fine non così distante dal nostro, ci sarebbe piaciuto vedere un finale diverso e senza quella flebile speranza tipica più del cinema americano più che di quello koreano. Ma come visto in altri suoi film, anche in questo caso Bong rimane fedele al suo modo di fare cinema, regalando una semplice e piccola speranza al genere umano. Basterà?
Un film consigliato a tutti gli amanti di cinema con la C maiuscola.
biglietti: 5/5