Speak No Evil è un horror entusiasmante, ma solo per chi non conosce la pellicola che copia (male)

Un James McAvoy sempre più divertito dai ruoli grotteschi conduce con piglio sicuro il remake in lingua inglese di un horror danese molto apprezzato, dimostrando di non avere la stessa visione e verve.

Cinema europeo batte cinema anglofono, ancora una volta. Nel 2022 il regista danese Christian Tafdrup porta in sala Speak no Evil, lungometraggio horror incentrato sul potere che le convenzioni sociali esercitano sulla nostra vita, instillando in noi una sorta di reazione automatica falsamente cortese a un certo tipo di situazioni che, talvolta, sostituiamo al buon senso e all’istinto di sopravvivenza.

Il tutto portato all’estremo, sia in chiave narrativa sia in chiave horror. L’originale danese è un film davvero intenso nell’esplorazione della violenza, nel portare a estreme conseguenze il suo assunto iniziale. Ovvero che le frasi di circostanza, le reazioni appropriate, la cortesia e il buon vicinato sono convenzioni rigide, che ci fanno sentire a nostro agio in situazioni cariche d’imbarazzo e di tensione, ma che in ultima istanza non ci rendono persone migliori e anzi, in chiave horror, abbassano di molto le nostre possibilità di sopravvivenza.

Speak No Evil è un horror entusiasmante, ma solo per chi non conosce la pellicola che copia (male)

Speak no Evil: dalla Danimarca al cinema mainstream

Due anni più tardi arriva in sala l’inevitabile remake in lingua inglese, con protagoniste facce più note, ma che si perde per strada parecchi elementi che rendevano la pellicola danese così apprezzata. Il punto è però un altro: in sé e per sé Speak No Evil è un horror apprezzabile, soprattutto grazie alla presenza di James McAvoy nei panni dell’antagonista principale. Il suo Paddy è un padre di famiglia e uomo il cui carisma e la cui ironia a tratti sono irresistibili, a tratti scivolano nel sinistro. Fisicato, allergico alle convenzioni sociali, alla mano ma capace d’irrigidirsi all’improvviso e pronunciare frasi piuttosto sgradevoli, Paddy sta trascorrendo con la moglie e con il figlio una vacanza in Italia quando incontra Louise (Mackenzie Davis) e Ben Dalton (Scoot McNairy), una coppia in fuga dalle tensioni sotterranee che ne stanno minando la solidità.

Louise e Ben sono la classica coppia borghese di città, ben introdotta ma in qualche modo sconnessa dal tessuto sociale, con un bel appartamento ma in difficoltà economica. Quando arriva l’invito di Paddy a raggiungerlo nella sua casa fattoria nelle più remote regioni bucoliche inglesi, i Dalton tentennano: accettare o no l’invito? Alla fine propenderanno per il sì, per mantenere la parola data, nella speranza che il fine settimana faccia bene anche alla loro intesa di coppia. 

La distanza tra le due coppie - l’americana e l’inglese, la cittadina e la campagnola, quella attenta alle convenzioni sociali e quella più radicale e diretta - si fa più esacerbata già all’arrivo nella casa sperduta nel nulla dI Paddy e famiglia, precipitando via via nell’incubo.

Speak No Evil è un horror entusiasmante, ma solo per chi non conosce la pellicola che copia (male)

Un James McAvoy muscolare è il punto di forza di Speak no Evil

Speak No Evil ha dalla sua, appunto, la capacità di un muscolosissimo James McAvoy di rendere alla perfezione la sensazione di timore che suscita nei Dalton, di restituirla al pubblico ben prima di arrivare a estreme conseguenze nelle fasi finali.

Sono bravissimi anche i due giovanissimi interpreti Alix West Lefler e Dan Hough, i figli delle due coppie. I bambini sono sempre cruciali nella riuscita di un horror psicologico su base familiare come questo e qui - a fronte di due parti tutt’altro che marginali nell’economia della storia - la loro ottima performance fa la differenza.

Quello che invece rende lo Speak no Evil anglofono meno incisivo della controparte danese è la riscrittura della sceneggiatura. Quando le intenzioni di Paddy e consorte diventano chiare, quando scopriamo come e se se la caveranno i Dalton, ecco che realizziamo come questo remake faccia qualcosa di molto diverso, smorzando e di parecchio sia il livello di violenza raggiunto dalla pellicola originale sia la forza del suo messaggio.

Speak No Evil è un horror entusiasmante, ma solo per chi non conosce la pellicola che copia (male)

La riscrittura smorzata dell'originale è il limite di Speak No Evil

Il regista James Watkins (Bastille Day, Black Mirror) non é nuovo al genere horror e sa muoversi discretamente in questo filone, alzando l’asticella della tensione per tutta la durata della pellicola. Gli scenari scelti dal film, la casa antiquata e vissuta nel mezzo del nulla della famiglia inglese, il “ristorante” dove escono a cena le due coppie, il contrasto con l’asettica efficienza dell’appartamento dei Dalton: l’atmosfera di idillio bucolico che sconfina nell'incubo, fuori dalla rete di sicurezza della pressione sociale a comportarsi a modo, c’è. Anche le musiche di Danny Bensi e Saunder Jurriaans aiutano a creare la giusta tensione.

Come sceneggiatore, Watkins però non è altrettanto incisivo. Sarebbe invero affascinante capire se i cambiamenti apportati alla trama siano stati dettati dalla voglia di sorprendere anche il pubblico del film primigenio o dalla necessità di smorzare le conclusioni estreme a cui arrivava l’originale pellicola danese…o da un mix di entrambi, trasformando la necessità in virtù, come si suol dire.

Insomma, Speak No Evil è un buon horror che potrà entusiasmare i fan del protagonista James McAvoy e gli estimatori del genere. Rischia però di deludere e irritare quanti hanno visto e apprezzato l’originale danese (di cui si consiglia caldamente la visione, per appurarne l’indubbia superiorità).

Speak no evil (2024)

Rating: TBA

Nazione: Stati Uniti

7

Voto

Redazione

TISCALItestatapng

Speak no evil (2024)

È quasi paradossale che un film che mette in guardia sui pericoli della cortesia e delle convenzioni sociali come educolranti del nostro stesso istinto di sopravvivenza finisca per cadere nella trappola dell’essere troppo educato, troppo misurato, troppo cerchiobottista. O forse è proprio il punto dell’intera operazione: il Dalton sono il cinema anglofono e mainstream, Paddy e i suoi l’esaltante, pericoloso, sempre imprevedibile cinema europeo.