Split

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Lo davano per finito M. Night Shyamalan. Un regista che dopo un folgorante inizio chiamato Il Sesto Senso, aveva galleggiato tra alti e bassi fino a quel The Village che per molti ha rappresentato l'ultimo e vero buon lavoro del regista di origini indiane.

Tutto questo fino al sodalizio con la Blumhouse, casa di produzione che gli ha permesso di tornare ad una dimensione più contenuta, con budget meno stratosferici e sopratutto senza la necessità di fare film che devono piacere “a tutti”. Il risultato? Una rinascita sia come regista che come sceneggiatore che culmina, trovando il suo apice, proprio in questo Split.



Divisi per crescere



Split é, senza troppo giri di parole, il miglior film di Shyamalan da diversi anni a questa parte. Se con The Visit si erano già intravisti accendi di ripresa, con Split si torna a cavalcare l'onda della tensione, di quella sottile ansia mista a curiosità che Il Sesto Senso era stato in grado di regalarci.

Qui la storia é diversa, più lineare e chiara se vogliamo, ma fatta di tanti piccoli momenti che ci aiutano a capire meglio che quello che ci troviamo davanti agli occhi, non é il classico horror, ma un lungometraggio decisamente più sublime, psicologico, fatto di tanti momenti introspettivi che fanno riflette lo spettatore, senza però appesantire la pellicola.

Kevin (James McAvoy) é un ragazzo molto particolare che si trova in cura dalla dottoressa Betty Buckley (Karen Fletcher). Soffre di un disturbo di personalità, e all'interno del suo corpo ne albergano ben 23. L'uomo, “posseduto” da una delle sue tante personalità, rapisce tre ragazze tra cui Casey (Anya Taylor-Joy), sequestrandole all'interno di uno scantinato. In preda al panico ed in cerca di una via di fuga, le ragazze scopriranno presto che hanno a che fare con un personaggio molto, molto particolare...ma soprattutto con una ventriquattresima personalità.

Split


Shyamalan priva il film di quasi tutti quegli elementi tipici dell'horror classico, gestendo inquadrature e montaggio come se fosse un thriller psicologico. La bellezza di Split, come dicevamo, sta proprio nel suo essere un film che ci porta verso una naturale evoluzione della trama, fino al quasi ovvio colpo di scena, che si stupisce, ma allo stesso tempo il regista lascia già vagamente intendere dal momento in cui si inizia a parlare di una personalità di Kevin molto più particolare delle altre chiamata “la bestia”, che non fa mutare solo gli atteggiamenti, ma anche il corpo del ragazzo.

In mezzo a questo però c'é davvero tantissima sostanza cinematografica, in questo interessante dualismo che proprio come lascia intendente il nome del film, divide i due veri protagonisti di questa storia Casey e Kevin. Entrambi con problemi; entrambi con echi che provengono dal passato.

Questo dualismo, questa sorta di percorso di redenzione che il regista fa compiere ad alcuni dei suoi personaggi, é la parte più oscura del film, nonché la più coinvolgente. In un finale in cui non esistono sostanzialmente dei vinti o dei vincitori.

In questo meccanismo che sembra oliato alla perfezione emergono le ottime performance di due attori che si caricano sulle spalle l'intero intreccio narrativo. Da una parte la straripante follia del bravo McAvoy, dall'altra la forza delle ribelle Casey che diventa “eroina”, interpretata magistralmente da Anya Taylor-Johnson.

La più grande certezza che si ottiene uscendo dalle due ore che compongono la durata di Split, é che Shyamalan é ancora "vivo” e la sua vena creativa é tutt'altro che esaurita. Bene così.

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