Still Alice

di Francesca Perozziello
Senza troppi sentimentalismi e senza giri di parole, Still Alice mostra gli effetti devastanti del morbo di Alzheimer nella vita di tutti i giorni.
Affermata professoressa di linguistica, Alice Howland é una cinquantenne soddisfatta della propria carriera e del matrimonio con John (Alec Baldwin), un chimico di successo. La coppia ha tre figli ai quali é molto legata e nonostante alcune incomprensioni, comuni in ogni famiglia, il loro é un rapporto felice e solido.

Chiamata in tutto il mondo a tenere conferenze, docente rispettata da colleghi e studenti, mai e poi mai Alice sospetterebbe che una malattia come l'Alzheimer possa colpirla. Ma questo morbo, subdolo e silenzioso, si insinua nella sua vita senza preavviso, togliendole tutto ciò che pensa di aver guadagnato con la costanza e la dedizione di anni di lavoro.



Julianne Moore, che per Still Alice ha appena vinto un Golden Globe, é candidata all'Oscar come miglior attrice protagonista. Se il verdetto ufficiale lo avremo solo fra una ventina di giorni, durante l'attesissima notte degli Oscar, il nostro parere possiamo già esprimerlo. Julianne Moore ha interpretato il suo personaggio con uno stile asciutto ed essenziale, che non lascia spazio al patetico. Più che suscitare pena o compassione nello spettatore, la vicenda di Alice mostra la fragilità di una donna forte e indipendente, costretta all'improvviso a fare i conti con una malattia che ha il sopravvento.
Anche la regia é del tutto funzionale alla storia.

Non ci sono virtuosismi tecnici o scelte artistiche così eclatanti da rubare la scena alla vicenda: il film la vicenda, il cinema solo il mezzo per raccontarla. Eccezion fatta per un paio di sequenze molto suggestive, Westmoreland e Glatzer, i due registi del film, lasciano che sia la storia stessa a mostrarsi, quasi a non voler interferire con il suo svolgimento.

Tratto dal libro della neuroscienziata Lisa Genova (Still Alice, tradotto in Italia con Perdersi), il film spicca per una sceneggiatura fortemente basata sui dialoghi. Non a caso, se nel libro la protagonista era una scienziata, nell'adattamento cinematografico Alice é una linguista. La scelta, che potrebbe sembrare un semplice vezzo autoriale, é invece fortemente simbolica: quale lavoro, se non uno fondato completamente sull'uso delle parole e delle loro sfumature, come quello del linguista, potrebbe rendere meglio il disagio di Alice?



Sembra quasi che Westmoreland e Glatzer, autori anche della sceneggiatura, abbiano voluto rendere tangibile, fin dalla prime scene, l'impatto del morbo nella vita della protagonista. Non appena la memoria di Alice viene assediata dalla malattia, sono proprio le parole ad essere cancellate. Le stesse parole che la professoressa ha pronunciato, analizzato e scritto per anni, le parole che le permettono di comunicare con chi ama e con chi lavora con lei, ora le sfuggono.

Nonostante tutto, il film non vuole fermarsi a una semplice cronaca del dolore. Gli affetti familiari sono infatti fondamentali, nella storia di Alice. Anche se non tutti sono in grado di amare e sostenere fino in fondo la persona colpita dalla malattia, ogni membro della famiglia Howland cerca di fare la sua parte, almeno fin che può.

Tutto il senso del film potrebbe essere riassunto con le parole della poetessa Elizabeth Bishop, le stesse che Alice utilizza nel corso di una conferenza sull'Alzheimer. Davanti a una platea di persone che, come lei, sono state colpite dalla malattia, Alice legge questi versi: l'arte di perdere non é difficile da imparare; così tante cose sono pervase dall'intenzione di essere perdute, che la loro perdita non é un disastro.