Stranger Eyes, recensione: distratti, videosorvegliati e un po’ infelici
Siamo tutti videosorvegliati: dalle telecamere pubbliche, dai follower sui social, dai nostri affetti gelosi. Stranger Eyes insinua che forse la cosa non ci dispiaccia poi tanto.
Viviamo nella società della sorveglianza, ma non vediamo quasi nulla di quello che ci succede attorno, specie tra le mura domestiche e nelle nostre relazioni personali. Stranger Eyes mette efficacemente a fuoco quanto la diffusione di dispositivi di sorveglianza abbia cambiato il nostro modo di guardare agli altri e di percepire noi stessi.
Ci siamo rassegnati a non avere più riservatezza, anzi, siamo abituati a condividere pezzetti della nostra esistenza personale e intima a un pubblico senza volto, quantificabile numericamente ma anonimo. Nei suoi passaggi migliori il film fotografa le conseguenze di questo cambiamento epocale che ancora fatichiamo a mettere a fuoco. Lo fa partendo da un incipit classico del genere poliziesco: una bimba scompare nel nulla e i giovani genitori e la nonna paterna si rivolgono alla polizia per tentare di ritrovarla, ma per mesi non succede nulla.
Stranger Eyes è un poliziesco dalle svolte inaspettate
Attraverso i protagonisti del film ci sentiamo raccontare quanto siamo distratti come partner, come genitori. La scomparsa della bambina porta a un’inevitabile indagine, che però procede a rilento. I due genitori, devastati, finiscono per improvvisamente vedersi in tutti i loro limiti, le loro manchevolezze. È uno shock: si riscoprono quasi sconosciuti, ognuno immerso nel suo mondo, che rimpalla(va) la figlia all’altro per flirtare con le commesse del supermercato o per fare le proprie dirette streaming da deejay.
Stranger Eyes però non sta facendo la predica a noi e a loro, così come il poliziotto a capo dell’indagine non sembra avere alcuna opinione in merito alla condotta delle vittime. Si limita flemmaticamente a dire loro di pazientare e lasciare fare alla polizia. La bimba scomparsa viene messa da parte anche dal film, che scopre le sue carte quando fa arrivare a casa della famiglia il primo di una serie di CD-rom contenti riprese del papà della piccola. Qualcuno l’ha seguito e l’ha ripreso mentre a sua volta pedinava una mamma con un passeggino. Non è l’opera di un mitomane, ma di uno stalker dedicato: i filmati risalgono anche ad anni prima.
Stranger Eyes alza il ritmo e la posta in gioco a partire da questa svolta, che introduce un’aberrazione affascinante a quella che ci aspetteremmo essere la sua traiettoria narrativa. Parte la caccia allo stalker, ma una volta scoperta la sua identità, i problemi rimangono e anzi si moltiplicano. Ci esponiamo ma è sconvolgente vederci ripresi quando non siamo nella nostra “modalità pubblica”, quando ci sentiamo al riparo dallo sguardo altrui. Se non possiamo sfuggire alle telecamere, possiamo scordarci di essere sempre dentro un’inquadratura.
Se la sorveglianza pubblica è un dato di fatto, qualcuno che ti osserva vedendoti davvero, guardandoti con attenzione e dedizione diventa quasi consolante. Sappiamo di essere visti, ci esponiamo volontariamente e con vanità allo sguardo, ma sappiamo che il modo in cui gli altri ci guardano è superficiale, perché spesso è come noi guardiamo gli altri attraverso gli schermi dei nostri dispositivi, gli obiettivi dei nostri cellulari. Perciò uno stalker ossessivo e la sua attenzione costante possono diventare lusinghieri.
Sembra esserci la storia per un intero film e invece non siamo nemmeno a metà dell’evoluzione di trama di Stranger Eyes, il primo film singaporiano a entrare in corsa per il Leone d’Oro a Venezia. Presentato a Venezia nel 2024, questo poliziesco in effetti mette un po’ troppa carne al fuoco, o quantomeno fatica a mettere a fuoco il centro focale della sua attenzione. Dopo aver messo da parte la questione genitoriale per concentrarsi sulla società della sorveglianza, ecco che il film prende un paio di svolte narrative e torna ad essere (o si riscopre) una storia di genitorialità. Si perde per strada così come il giovane padre protagonista e poi forza la mano nel finale per creare un parallelo tra i suoi rimpianti di padre distratto e assente e quelli di un altro personaggio. Stranger Eyes si rivela una storia di padri incapaci di essere presenti, ma amorevoli sull’orlo dell’ossessività quando trovano la giusta distanza. Non al fianco della prole, ma guardandola da lontano.
Risolto per intero, riuscito a metà
Il film conferma il talento di narratore e regista di Yeo Siew Hua, anche se segna un passo indietro rispetto al suo precedente A Land Imagined, un noir presentato a Locarno qualche anno fa che si faceva notare per la sua estetica ricercatissima. Stranger Eyes è volutamente più anonimo nel look, ma non meno curato nel suo approccio registico, capace di scene poetiche, di passaggi che solo a una seconda visione rivelano la loro piena potenza. È un film risolto per intero, ma riuscito a metà, che nel mezzo del suo discorso fatica a tirare le fila di ciò che vuole dire. Tuttavia, considerando le premesse, è una pellicola che fornisce un poliziesco capace di prendere continue svolte inaspettate, anche se a fronte di almeno un paio di passaggi in cui il motore gira a vuoto e la narrazione sembra essersi persa.
Invece il punto d’arrivo c’è, anche se l’atterraggio non è indolore. Stranger Eyes non vuole essere un ammonimento né una denuncia. Funziona come presa di consapevolezza momentanea su cosa abbiamo perso e cosa abbiamo guadagnato quando ogni strada ha cominciato a essere guardata da un occhio silenzioso, ma sempre vigile. La mancanza d’irrigidimenti e di facili moralismi nel raccontare la nostra nuova realtà sono il punto di forza del film, che però rischia di annoiare nella parte centrale.
Yeo Siew Hua continua a dimostrarsi un regista capace, votato a generi convenzionali come il poliziesco e il noir, ma che si fa ricordare per come ogni volta riesca a deviarli in direzioni inaspettate, con una regia attenta e dal discreto carisma. Stranger Eyes è il classico film riuscito a metà perché sfuggito parzialmente di mano a un regista che sta ancora prendendo le misure delle sue capacità, soppesando le sue ambizioni e i suoi punti di forza. Quando capirà come gestire una storia così ambiziosa senza perderne il controllo, Yeo Siew Hua ci regalerà pellicole notevoli. Per il momento ci ha già provato che è un nome asiatico da tenere d’occhio, con attenzione.
Durata: 125'
Nazione: Singapore
Voto
Redazione
Stranger Eyes
Dopo aver messo Singapore sulla mappa del cinema festivaliero, Yeo Siew Hua continua a dimostrarsi un regista capace, votato a generi convenzionali come il poliziesco e il noir, ma che si fa ricordare per come ogni volta riesca a deviarli in direzioni inaspettate, con una regia attenta e dal discreto carisma.
Stranger Eyes è il classico film riuscito a metà perché sfuggito parzialmente di mano a un regista che sta ancora prendendo le misure delle sue capacità, soppesando le sue ambizioni e i suoi punti di forza. Quando capirà come gestire una storia così ambiziosa senza perderne il controllo, Yeo Siew Hua ci regalerà pellicole notevoli. Per il momento ci ha già provato che è un nome asiatico da tenere d’occhio, con attenzione.