Thanksgiving, recensione: Eli Roth fa centro con un horror meno Grindhouse, più Blumhouse
Eli Roth dirige per davvero il film di cui realizzò nel 2007 un falso trailer per Tarantino e Rodriguez e fa centro: la recensione di Thanksgiving.
Hollywood, ex fabbrica delle idee, da anni in cassa integrazione di creatività. Chissà come è andata esattamente e per davvero, al di là delle patinate dichiarazioni dei diretti interessati. Chissà a chi è venuto in mente, probabilmente dopo aver guardato agli incassi degli ultimi horror made in Blumhouse, di chiamare Eli Roth e ricordagli di quel trailer posticcio che girò nel 2007 per gli amici Quentin Tarantino e Robert Rodriguez.
All’epoca, infatti, i due ragazzacci terribili erano alle prese con Grindhouse - A prova di morte, duplice omaggio al loro amore per i film slasher di serie zeta e alle annesse e connesse esperienze cinematografiche in strutture e in modalità discutibili. Un progetto del genere, che oltre alle storie crea una sorta di universo cinematografico posticcio completo di riferimenti riguardanti altri film, le carriere degli attori coinvolti e via dicendo, era perfetto per essere accompagnato e introdotto da trailer posticci realizzati ad hoc.
Tarantino e Rodriguez chiamano Eli Roth, che accetta di buon grado, se ne va in Repubblica Ceca e gira Thanksgiving, filmato promozionale di un horror slasher ambientato nel giorno del Ringraziamento, con un killer che attacca pupazzi a forma di tacchino e cheerleader vogliose vestito da padre pellegrino, dimostrando un fetish per il cannibalismo festivo. L’idea dietro al filmato è semplicissima: siccome ogni festa comandata ha il suo horror di riferimento, perché non immaginare che qualcuno ne abbia girato uno a tema Ringraziamento?
Salto al 2023, quando qualcuno si è detto, con una buona dose di realismo e onestà intellettuale, che molti film vennero prodotti su premesse ben più malferme e risicate. Eli Roth è della partita, il copione si scrive da solo e arriva in sala un horror slasher meno Grindhouse e più Blumhouse. La vera sorpresa è che, proprio grazie alla passione e all’ironia che ci mette il regista, il film è davvero godibile, imperdibile per gli amanti del genere.
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La trama di Thanksgiving
La cittadina di Plymouth, in Massachusetts, è intimamente legata alla storia dei padri fondatori e all’arrivo negli Stati Uniti della Mayflower. Il Ringraziamento, dunque è una festa sentitissima in città, dove però non manca una certa frenesia per i riti del consumismo moderno. Tanto che, proprio la notte che precede il quarto giovedì di novembre, durante una svendita del Black Friday, si consuma un’orrenda tragedia. Nel locale negozio di elettronica preso d’assalto dai consumatori la calca è tale che muoiono un addetto alla sicurezza una donna. Gabby (Addison Rae) viene colpita da vicino dalla vicenda: il suo fidanzato, astro nascente del baseball, s’infortuna e lascia la città, i suoi amici assistono e riprendono il disastro dentro il negozio, che è di proprietà del padre di lei.
Un anno più tardi si avvicina di nuovo il Ringraziamento. In città non mancano le proteste dirette al padre di Gabby, che ha deciso di effettuare l’annuale svendita del Black Friday, nonostante quanto avvenuto l’anno precedente. Su Instagram però un account intestato al padre pellegrino Jonathan Carver, eroe di Plymouth, appare un macabro post in cui sono taggati Gabby e i suoi amici. Un serial killer comincia a uccidere in città, vestito da padre pellegrino e con la maschera di Carver. L’assassino sembra aver preso di mira proprio coloro che erano presenti alla mattanza dell’anno precedente e che ritiene colpevoli di quanto successo. Nonostante gli sforzi dello sceriffo (Patrick Dempsey), il killer sembra inarrestabile.
Perché Thanksgiving funziona
Thanksgiving funziona perché calibra alla perfezione le sue ambizioni, tarandole alle sue premesse scarne ma efficaci. È il classico horror slasher basato su un’idea di partenza divertente ma minimale, condotta con partecipazione ed entusiasmo dal suo regista.
Lo sceneggiatore Jeff Rendell fa ben più di uno sterile compitino per portare a casa il risultato: Thanksgiving si dimostra infinitamente creativo nell'escogitare nuove orrende, violentissime morti per i suoi protagonisti, ideando una serie lunghissima di riferimenti alla festività del Ringraziamento in chiave slasher. Non solo: la scrittura vivace del film, che riunisce una serie di personaggi discutibili e odiosi (di quelli che ti fanno tifare, in automatico, per il killer) fa dell’ironia pungente su vizi e virtù del nostro tempo. Senza strafare, Thanksgiving spesso mostra come possiamo passare dall’essere superficiali ad abbietti quando mettiamo un telefono tra noi e la realtà, distanziandocene.
Gli amici di Gabby, i clienti in fila per i saldi che s’insultano, la matrigna arrivista e il padre affarista della protagonista: Thanksgiving ci regala una serie di figure grottesche ma non così lontane dai nostri stessi vizi, prima di aprire la caccia grossa alla vittima e di escogitare sempre una morte più cattiva e più crudele della precedente. Eli Roth in questo non lesina passione e partecipazione: si divertiva come un matto nei panni di una delle vittime nel trailer originale, qui dà il meglio di sé in sequenze slasher che alterano a ritmo serrato i jump scare a inaspettati passaggi comici.
L’impressione più forte che lascia Thanksgiving - un film che fa il dito medio alle aspettative di franchise, sequel, che si diverte nel suo presente senza pianificare a tutti i costi un futuro - è che da quel Grindhouse l’horror commerciale è davvero cambiato. Se uno come Eli Roth, pupillo di Tarantino e Rodriguez, gira un film indistinguibile per estetica, ritmo e jump scare dai titoli Blumhouse più riusciti, significa che l’impatto di questo modello produttivo è profondo, difficile da scrollarsi di dosso.