The Butler : Un Maggiordomo alla Casa Bianca

di Simone Rampazzi
Affrontare il tema dell'integrazione razziale afroamericana non é propriamente semplice, soprattutto se si tenta di trattarlo dietro la camera da presa senza oltrepassare, registicamente parlando, quella sottile linea di confine tra pellicola scontata e kolossal cinematografico.

In questo caso, con “The Butler”, il regista Lee Daniels riesce nell'intento quasi fino in fondo, ricreando sì una pellicola biografica di stampo drammatico fedelissima alla storia americana, ma, al contempo, un lavoro forse un po' troppo scontato principalmente verso le fasi conclusive del film.

Forest Whitaker (Cecil Gaines) interpreta il ragazzo di colore cresciuto nelle piantagioni di cotone e soggiogato dalla durezza del “padrone bianco”, violento fino al punto di uccidergli il padre a sangue freddo, solo per aver fiatato di fronte allo stupro della moglie. Successivamente, Cecil diventa un servo di casa ed impara tutte le regole fondamentali per eccellere nel proprio lavoro, occupazione che lo farà arrivare (incredibile anche solo pensarlo) sino alla Casa Bianca, dimora dell'uomo più potente del mondo. Nella medesima, egli presterà servizio egregiamente sino alla vecchiaia, interagendo quotidianamente con i presidenti che ne hanno occupato le sale dal 1952.



Da Dwight Eisenhower (Robin Williams) ai giorni nostri, passando in rassegna le personalità rilette di Ronald Reagan (Alan Rickman), Richard Nixon (John Cusack), compreso il meno fortunato John F. Kennedy (James Marsden), il film cerca di rappresentare l'America segnata dalle rivolte per i diritti civili degli afroamericani, esprimendo con suggestiva minuzia il punto di vista interpretativo di quegli anni, dove il ragazzo di colore era costretto a lottare per vivere dignitosamente. Le tematiche del razzismo vengono affrontate e sviluppate con un enorme pathos interpretativo, mostratoci non solo dall'eccelso Whitaker, ma anche da David Oyelowo (Louis Gaines), che ci presenta la faccia più insurrezionalista e viscerale delle rivolte suddette, disposto a tutto pur di far rispettare i propri diritti, anche con la violenza se necessario.

Questo rapporto duale focalizza l'essenza della pellicola, al punto da segnarne profondamente le fasi nella narrazione. Avvincenti le battute su alcuni dialoghi, amalgamate in punti nevralgici che evidenziano il rapporto sulle scelte di vita fatte (maggiordomo vs rivoluzionario), al punto di scontrarsi nel momento in cui si capisce che anche il primo, nel suo ruolo di impeccabile lavoratore (ma allo stesso tempo un servo), dimostra che non solo la rabbia, o la guerra se vogliamo, siano risolutive per effettuare un cambiamento.



Non vi é stato effettivamente un momento in cui non fosse piacevole ammirare la scenografia del film, estremamente curata e ricca di oggettistica votiva per gli anni trattati, in grado di ricreare una carrellata di riferimenti fedelissime a situazioni storiche vissute e/o studiate sui libri. La sceneggiatura di Strong, coadiuvata dall'ottimo lavoro di fotografia e montaggio, riesce a riproporre un ottima rappresentazione della storia di quegli anni, ispirandosi per sommi capi al lavoro di Wil HaygoodA Butler Well Served by This Election”.

Il cast stellare, con un Oprah Winfrey (Gloria Gaines) superba, riesce sicuramente a rendere la pellicola appetibile, ma non permette quel salto di qualità finale per renderla perfetta sotto tutti i fronti. Tralasciando il ritmo della trama, che comunque riesce a tenere lo spettatore piacevolmente seduto in poltrona per tutta la durata del film, perde completamente di smalto nelle fasi finali, trasformandosi in quel mostro americano fatto di conformismo ed ovvietà che tenta, palesemente, di lanciare un occhiata di sfida al “12 Years to Slave” di McQueen per la corsa agli Oscar.