The Electric State: la recensione del film in arrivo su Netflix

Un fumettone pensato esplicitamente per i più giovani

di Chiara Poli

Tratto dal graphic novel dell’autore e illustratore svedese Simon Stålenhag, The Electric State è un progetto ambiziosissimo: un film dal budget colossale di oltre 320 milioni di dollari, firmato dai fratelli Russo (Avengers: Endgame), con un cast stellare e un’estetica retro-futuristica che mescola fantascienza malinconica, critica sociale (piuttosto retorica, va detto) e suggestioni da videogame degli anni ‘90. In arrivo su Netflix il 14 marzo, è già al centro del dibattito: può un prodotto così costoso e visivamente raffinato reggere anche dal punto di vista narrativo?

Noi l’abbiamo visto in anteprima. Ecco la nostra recensione senza spoiler.

La trama di The Electric State


Siamo nel 1994, ma in una versione alternativa dell’America devastata da una guerra contro i robot e dominata da una tecnologia che ha cambiato il modo in cui gli esseri umani vivono, lavorano e pensano. In questo contesto distopico seguiamo la giovane Michelle (Millie Bobby Brown, Stranger Things), un’adolescente che vive con una padre affidataria in una società iper-controllata. Dopo aver recuperato un misterioso robot abbandonato nella “zona interdetta”, Michelle capisce che quel robottino – simile a quello del cartone animato preferito del fratello scomparso – potrebbe essere la chiave per ritrovarlo: suo fatello, creduto morto, potrebbe essere ancora vivo… Così insieme al robot Cosmo (doppiato in lingua originale da Alan Tudyk, il protagonista di Resident Alien), si nasconde sul camion dell’ex soldato ora contrabbandiere Keats (Chris Pratt, Guardiani della Galassia), e dal suo robot Herman (Anthony Mackie in originale). Inizieranno un viaggio pericoloso attraverso gli Stati Uniti…

Un grande cast


Stanley Tucci (Amabili resti, Il diavolo veste Prada) è il magnate della tecnologia Ethan Skate, proprietario della società tecnologica Sentre, che ha permesso agli umani di sconfiggere i robot ribelli nella guerra guidata da Mr. Peanut (doppiato da Woody Harrelson), le cui vere intenzioni erano diverse da quelle interpretate dagli umani. Giancarlo Esposito (Breaking Bad) è il Colonnello Bradbury, noto come Il Macellaio, spietato assassino di robot, mentre a interpretare ruoli fisici o da doppiatori ci sono tanti altri nomi celebri, da Jason Alexander (Seinfeld) a Brian Cox (Succession), Raoul Kohli (I, Zombie), Hank Azaria (I Simpson)…

Fra visione e deja-vu, un film per ragazzi


I fratelli Russo confezionano un film visivamente sontuoso, pieno di suggestioni visive e citazioni (da Star Wars a Navigator, da A.I. Intelligenza Artificiale a Transformers, passando per Corto Circuito e naturalmente I Guardiani della Galassia e Stranger Things), con una direzione artistica che sembra uscita direttamente dai dipinti digitali di Stålenhag. L’atmosfera anni ’90 è curata nei minimi dettagli: loghi vintage, musiche grunge e rock, tecnologie obsolete ma reinventate per l’occasione.

Tuttavia, chiunque sia appassionato di fantascienza e grande consumatore di film troverà tutto molto prevedibile: riconoscere le citazioni è un gioco divertente, ma non ci saranno sorprese.

Come film per ragazzi, invece, The Electric State funziona. Quel mix di fantascienza, avventura e commedia, con i personaggi che solo “i grandi” riconosceranno come provenienti dal decennio della narrazione (a cominciare da Sonic), non dimentica mai di non essere cruento o troppo drammatico: la tensione viene stemperata al momento giusto, facendo sì trionfare il sentimentalismo ma senza separarlo dall’ironia. Come nei classici film per ragazzi degli anni ’80 e ’90, appunto. E pensare un po’ a I Goonies grazie alla presenza di Ke Huy Quan è fin troppo facile.

Il pubblico adulto


Chi tutti quei film li ha già visti, dicevamo non troverà nulla di sorprendente. E vista la durata oltre le due ore, penserà che The Electric State sia un po’ troppo lungo. Giusto per esibire il grande dispiego di mezzi. Dopo un inizio scoppiettante, che include persino sequenze d’archivio rielaborate con Bill Clinton e Walt Disney per spiegare l’evoluzione dell’uso dei robot, il film rallenta in un’avventura on the road che alterna momenti teneri ad altri più divertenti o improntati all’azione. Il viaggio di Michelle e dei suoi compagni è un percorso di formazione, ma spesso perde di intensità per lasciare spazio a scene visivamente spettacolari ma poco rilevanti ai fini della narrazione. Cosa che agli occhi dei più giovani stonerà molto meno.

Tematiche e differenze col graphic novel


Il tema dei diritti dei robot è centrale e fortemente attuale: creature ipoteticamente (all’inizio) senzienti vengono trattate come oggetti, mentre nel mondo di oggi le creature provatamente senzienti, gli animali, fanno la stessa fine. O peggio. Il messaggio ambientalista del film fa riflettere: si parla di compassione verso i robot mentre nel mondo reale non si riesce ancora a garantirla agli umani o agli animali. Il tutto si unisce alla critica sociale di un mondo passato che sembra quello di oggi, in cui in Cina girano già robot per le strade e in cui in molti Paesi le ribellioni vengono sedate con violenza.

Chris Pratt e Millie Bobby Brown funzionano come duo, anche se a volte restano intrappolati nei loro stereotipi: il soldato cinico dal cuore d’oro e la ragazzina traumatizzata, ma determinata. Pratt, in particolare, sembra replicare il suo personaggio nella saga Guardiani della Galassia.

La colonna sonora, ricca di brani classici di enorme successo, aggiunge fascino e malinconia, mentre la presenza di robot giocattolo parlanti, discorsi pseudo-filosofici e deserti pieni di relitti tecnologici crea un’estetica affascinante ma a tratti confusionaria. Tra i momenti migliori: il racconto del primo incontro in guerra tra Keats e il robot Herman, che mostra come anche una macchina possa sviluppare una forma di compassione… Mentre tanti uomini - come Skate, siano incapaci di farlo.

Rispetto al graphic novel di Simon Stålenhag, il film si prende molte libertà. L’opera originale era certamente più evocativa, con testi quasi privi di dialoghi. Il film espande l’universo narrativo introducendo personaggi, retroscena politici e sociali (come il sistema Neurocaster e la rete virtuale), ed enfatizzando l’avventura e l’azione. Questo ha pro e contro: da un lato arricchisce l’esperienza visiva, dall’altro sacrifica quella poetica malinconica che ha fatto la fortuna del libro.

Il messaggio finale è già che chiaro: nella corsa alla connessione globale e alla tecnologia totale, stiamo rischiando di perdere ciò che ci rende umani. Ma il film, nonostante le buone intenzioni, fatica a emozionare davvero, forse proprio perché troppo attento alla forma e troppo poco alla sostanza.

Consigliato ai giovani e giovanissimi. Meno a quelli che gli anni ’90 li hanno vissuti da ragazzi…