The Holdovers - lezioni di vita è un film volutamente vecchio, che rischia di piacere a tutti: la recensione.
Alexander Payne tira fuori dal cappello un film vecchio stile ma riuscitissimo, lanciando l’esordio di un giovanissimo di enorme talento e catapultando Paul Giamatti verso l’Oscar. La recensione di The Holdovers.
Era da un po’ di anni e da un po’ di film che Alexander Payne non tirava fuori dal capello un film così riuscito, così centrato, così soddisfacente da vedere come The Holdovers - lezioni di vita. Ci sono pellicole così, che ti siedi in sala e fin dai titoli di testa capisci che ogni pezzo del puzzle e posizionato perfettamente, ogni cosa va al posto giusto e nel migliore dei modi con grande naturalezza.
I titoli di testa di The Holdovers - lezioni di vita poi meriterebbero un discorso a parte, tanto sono programmatici, emblematici del film che stiamo per vedere. La pellicola si apre in fatti con il logo della Universal degli anni ‘70, seguito da un finto logo retrò del produttore Focus, seguito poi da quello della Miramax, società dei Weinstein che da sola parla di un tempo andato, perduto per sempre. Il punto di The Holdovers - lezioni di vita è proprio quello, sotto sotto: raccontare il natale del 1970 e il capodanno 1971 da un luogo chiuso, un ambiente contenuto, mostrandoci come si viveva e faceva cinema un tempo, quali valori la vita e il cinema cercavano d’insegnare, cosa è andato perduto nel frattempo.
Il film non è solo ambientato negli anni ‘70: è girato seguendo i dettami e crismi dell’epoca. Niente pellicola, ma filtri e graffi per ricrearne in maniera convincete la trama. Ci sono gli zoom improvvisi che sottolineano momenti comici, ci sono le canzoni pop un po’ malinconiche dell’epoca, c’è un uso dei primi piani e una ridottissima presenza del campo-controcampo che è divenuto il sillabare di gran parte della cinematografia contemporane. L’intento dunque è girare, nel 2023, un film ambientato nel 1970 che sembri un film degli anni ‘70. Perché? Per insegnarci, suggerirci qualcosa.
The Holdovers è un film malinconico ma mai triste
L’insegnamento è il tema centrale di The Holdovers. Il film è ambientato alla Barton Academy, un collegio del New England che fa tanto vecchia Inghilterra, dove i giovanissimi studenti di sesso maschile vengono educati a diventare cittadini tutti d’un pezzo, acculturati e a modo, all’altezza della loro classe sociale. Per molti genitori abbienti però la Barton è un parcheggio di comodo per sbarazzarsi dei figli per buona parte dell’anno.
A inizio film cinque di loro guadagnano lo status poco invidiabile di “holdover”, ovvero di quelli la cui permanenza si prolunga anche durante le vacanze di Natale. A tenerli d’occhio nel collegio svuotato rimangono la cuoca Mary Lamb (Da’Vine Joy Randolph), l’inserviente Danny (Naheem Garcia) e il pedante e scorbutico professore Paul Hunham (Paul Giamatti). A Paul tocca questa corvée ingrata anche perché, con la sua rigidità nel dare i voti e il suo atteggiamento sprezzante verso i ragazzini ricchi e viziati a cui insegna storia antica, ha bocciato il figlio di un importante pezzo grosso della politica.
Nel corso del film Angus (Dominic Sessa), un giovane intelligente e ribelle, finisce per essere l’unico pupillo rimasto a scuola. La madre si è risposata e non lo vuole con sé durante la luna di miele col nuovo marito. Angus è al contempo un ragazzino inconsapevole dei suoi privilegi ma anche una persona avvolta da una solitudine profonda, in cui maschera alcuni segreti che sembrano essere alla base del suo essere imprevedibile, talvolta insopportabile.
Nel corso del film creerà un legame con il professore Hunham proprio perché le loro solitudini hanno una base comune e i loro caratteri si somigliano più di quanto si potrebbe pensare. Anche Mary Lamb è sola e ha motivi per cui soffrire, per cui tra le aule della Barton si crea una sorta di terzetto che prima passa il Natale assieme, poi spende qualche giorno a Boston, dove il legame tra Angus e Paul si farà ancora più forte, quasi paterno.
Siamo nel pieno del filone dei film sull’insegnamento, sui maestri anti-convenzionali che cercano di dare una seconda chance a pupilli difficili, finendo per mostrarsi a vicenda ferite dolorosissime, causa del loro chiudersi in sé stessi: Willi Hunting - Genio Ribelle, Scoprendo Forrester, ovviamente L’attimo fuggente. Paul però, almeno inizialmente, è il più convenzionale, pedante degli insegnanti, ossessionato dalla disciplina, sferzante e incurante delle aspirazioni e dei desideri dei suoi alunni. Il film si concentra principalmente su di lui, su come il rapporto con Angus gli faccia realizzare molto di sé in pochi giorni: come si sia chiuso alla vita, arreso al proprio fallimento senza neanche provare a inseguire i suoi obiettivi, ridimensionando le sue aspirazioni (non vuole nemmeno scrivere un romanzo, si accontenta di una monografia che poi non ha nemmeno cominciato), rassegnato alla solitudine come se fosse una caratteristica fisica ineludibile come il suo strabismo o la trimetilaminuria di cui soffre, che porta il suo odore corporeo a somigliare al puzzo del pesce.
The Holdovers è una storia malinconia ma mai davvero triste di tre solitudini che insieme costruiscono un legame fragile, d’occasione sì, ma profondo, che porta Mary, Paul e Angus a voltare pagina, in modi differenti, allargando il proprio orizzonte oltre la Barton.
Gli esordienti e le vecchie glorie di The Holdovers
Payne non è certo il primo regista a realizzare una sorta di copia conforme, una replica dei film del passato. Lo fa con un grande risultato, infinitamente più convincente dei suoi recenti titoli Downsizing e The Descendants. Il punto è: perché?
Per capirlo bisogna scavare nella genesi del film, nel vissuto del suo regista. Payne è nato in Nebraska nel 1961: aveva dunque 10 anni quando gli eventi fittizi di The Holdovers hanno luogo. Nostalgia della propria gioventù, del suo essere prima bambino poi adolescente? Non proprio, non solo.
The Holdovers è una sorta di remake di un vecchissimo film francese del 1935. Payne vede Merlusse a un Festival, ne rimane ammaliato e chiede allo sceneggiatore David Hemingson (esordiente al cinema), di cui aveva letto il pilota per una serie mai realizzata, di scrivergli un film, partendo proprio da Merlusse. Hemington non l’unico esordiente che Payne scopre strada facendo. In una delle tante scuole del New England dove si fanno audizioni per i ruoli minori una direttrice del cast fa un provino al ventenne Dominic Sessa, mai stato davanti alla cinepresa. Payne ci scopre dentro un talento sconfinato, ne fa il suo co-protagonista, si affida alla sua recitazione istintiva rischiando molti, intensi primi piani. Ne esce fuori un’interpretazione rivelazione come non si vedeva dai tempi di Timothée Chalamet in Chiamami col tuo nome.
Paul Giamatti invece con Payne ha un rapporto di lunga durata, era già stato il suo protagonista in Sideways. Il personaggio di Paul è evidentemente modellato sulla sua figura, sul suo carattere e gli permette di brillare moltissimo senza poi allontanarsi troppo dal suo sé. Materiale da Oscar per cui Giamatti dovrebbe ringraziare Payne, così come Da’Vine Joy Randolph, che ha anche quel tipo di scena drammatica (quella in cui scalza nella cucina di un’amica esprime finalmente tutto il suo dolore per la perdita di una persona cara) che sembra già le clip di presentazione del rullo dei nominati agli Oscar.
Cosa cerca The Holdovers negli anni ‘70?
Quel che è sicuro è che, ricalcando il modo di fare film di un tempo a Hollywood - anche con una scrittura che qua e là prende a prestito il meglio del modo di scrivere dialoghi nel presente - Payne gira un perfetto crowd pleaser, un film che finisce per dare agli spettatori quel tepore nel petto che tanto desiderano. È abbastanza conservatore da piacere ai più anziani, ha abbastanza adolescenti ribelli da parlare ai ragazzi, da avvincere i cultori dei collegi inglesi, di Donna Tartt e dell’estetica Dark Academia (gente che sta su TikTok, decisamente sotto i 25), è abbastanza curato nel suo ricalcare il passato da solleticare l’interesse dei cinefili, è abbastanza pedagogico da finire nei cineforum delle scuole.
Cosa ci consegna però The Holdovers, un film emozionante ma infinitamente meno personale di Nebraska,precedente film di Payne? Soprattutto una sorta di nostalgia per un tempo forse più rigido, più conservatore, ricolmo però di contatti umani veri, di valori veri. O almeno è questo che il film suggerisce, sottostimando la complessità dell’epoca a cui guarda (anche solo vista attraverso il cinema che ha generato), rimanendo ben recluso in un ambiente volutamente separato, limitato, “mantenuto” oltre il tempo normale, come suggerisce il titolo.
La verità di Holdovers è sottile e scivolosa. Il film si deve barricare in una scuola deserta per sfuggire al cinema degli anni ‘70, come ben fa notare un ottimo articolo del New Yorker. The Holdovers trova insomma il modo di ovviare alle parti più spinose da raccontare, sia nel passato sia nel presente, tornando a quella Hollywood che nel cinema vedeva se non una scappatoia, una superficie opaca che riflette appena delle forme, senza restituire un’immagine nitida. In The Holdovers il conflitto che ha definito quell’era, l’impegno, la politicizzazione di ogni espressione dell’essere è presente ma sterilizzato, diluito, allungato, fino a diventare irrilevante. È un film più interessato al concetto di “come diventare uomini” delle specifiche di cosa significasse farlo in quel momento.
Sono scelte di campo e di regia, che spesso dividono i film che fanno la storia, quelli che graffiano e quelli che rimangono nel cuore. The Holdover punta palesemente a quest’ultimo traguardo e ha tutte le carte per riuscirci. Fa impressione pensare però come un film imperfetto come Armageddon Time di James Gray, ambientato venti anni più tardi e basato al contrario su una storia profondamente personale e autobiografica, sia stato in grado di raccontare con complessità ben maggiore un’epoca che il suo cineasta ricorda, come Payne, attraverso la sua giovinezza.
Rating: Tutti
Durata: 133'
Nazione: Stati Uniti
Voto
Redazione
The Holdovers - Lezioni di vita
Payne restaura l’antica arte dei crowd pleaser, girando un film perfetto per il presente, che dal passato seleziona il meglio, lasciandosi dietro però i conflitti che lo hanno costruito e rappresentato. The Holdovers è un film sul crescere a qualsiasi età e ritrovare sé stessi che si confina dentro uno spazio limitato per guardare nell’animo dei suoi personaggi, con tutti i pregi e i difetti che questa reclusione comporta. Merita la visione anche solo per una delle tre notevoli performance dei protagonisti del film.