Hunger Games - La Ragazza di Fuoco

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Rabbia. E' stata la prima sensazione provata quando sullo schermo della sala privata Universal, a Roma, é comparso l'ormai celebre logo della gazza imitatrice, stavolta in fiamme, lasciandoci appesi a una svolta decisiva della storia. Rabbia nel rendermi conto che i 146 minuti di film erano davvero volati, come promesso all'inizio della proiezione da Roberta Magnani, responsabile del settore digitale della multinazionale cinematografica. “Passano”, aveva detto, alludendo alle due ore e mezzo di pellicola, di certo per rassicurare i pochi maschi adulti presenti, quasi tutti professionisti del settore, mentre il resto del pubblico, composto da giovanissimi e soprattutto giovanissime fan della saga, accompagnate da mamme altrettanto interessate, erano molto più che impazienti di assistere alla seconda trasposizione filmica dei romanzi di Suzanne Collins. Ha strizzato l'occhio ed é uscita, prima ancora che avessi il tempo di ribattere “sì, va bé...”. E' questo l'inganno riuscitissimo di una pellicola che, ancora prima di uscire, é stata spinta sulla cresta dell'onda dei desideri del pubblico target dei “giovani adulti” da un'imponente quanto riuscita operazione di marketing in rete. 320.000 fan registrati sul sito del film e 40.000 visualizzazioni del video streaming della serata a tema organizzata da Universal in occasione della festa del cinema non sono bruscolini. E come spesso accade quando si coinvolgono gli adolescenti di oggi, sempre più informatizzati e interconnessi, i post su Facebook e Twitter e i commenti sui forum di cinema si sono moltiplicati. Però, attenti. Guai a considerarlo soltanto un film per ragazzi.

Hunger Games - La Ragazza di Fuoco


So che nello scriverlo metto a rischio la mia reputazione di cinefilo e che rischio di alienarmi l'amicizia di qualche amico “duro e puro”, ma quel che é giusto é giusto. La ragazza di fuoco é un film bellissimo, adatto a tutti. A un pubblico familiare con figli che abbiano finito le elementari, a gruppi di adolescenti e ragazzi più grandi, a coppie di fidanzati, a persone più mature e perfino al gruppo parrocchiale o alla bocciofila degli anziani del quartiere, alla ricerca di un pomeriggio di svago prima della serata danzante del sabato sera. In un mercato come quello attuale dove le commedie sia italiane che estere traboccano di turpiloquio, temi sociali scottanti e allusioni sessuali, i film d'azione rigurgitano addosso allo spettatore dosi urto di sangue, violenza gratuita e coprolalia (ce l'avete uno Zingarelli a casa, vero?) e le pellicole drammatiche sconfinano sempre più spesso nel soft-core di maniera, senza lesinare l'invito allo sbadiglio, imbattersi quasi per caso in un film che sia allo stesso tempo divertente, coinvolgente, veloce e mai noioso che sia capace addirittura di suscitare emozioni positive e andare controcorrente rispetto ai valori imposti dalla vulgata multimediale ai giovani di oggi é un evento decisamente raro.

“La ragazza di fuoco” riesce a centrare questo difficile bersaglio.
Il merito, per dare a Cesare quel che gli compete, va in primis alla scrittrice Suzanne Collins (ancora una volta in libreria spopola una gentile signora, maschietti dove siete finiti?), autrice della trilogia di Hunger Games, qui giunta al suo secondo capitolo cinematografico. Lontana mille miglia dalla ridondanza barocca della Rowlings e dalla stucchevolezza per ipoglicemici di Stephanie Meyer e delle sue epigoni, la prosa di Suzanne, di cui a questo punto varrebbe forse la pena di ripescare la misconosciuta pentalogia di Underland, é asciutta, veloce, serrata, coinvolgente. Esattamente lo stesso si può dire della regia di Francis Lawrence, cresciuto nel mondo dei videoclip musicali (caratteristica comune a tanti registi della nuova generazione) ma che vanta già, dopo l'esordio con “Constantine” (uno dei migliori ruoli di Keanu Reeves di sempre), un curriculum in cui figura l'ottimo “Io sono leggenda” con Will Smith. E' subentrato a Gary Ross, regista del primo episodio della saga, e toccheranno a lui, preparatevi, anche i due capitoli finali nei quali é stata divisa, come ormai pare vada di moda, la storia narrata nell'ultimo romanzo.



“Nessuno vince gli Hunger Games. Ci sono dei sopravvissuti, ma nessun vincitore”. La frase, una delle più belle del copione, é pronunciata da Haymitch Abernathy, vincitore della cinquantesima edizione dei giochi, divenuto mentore di Katniss e Peeta e interpretato da un ottimo Woody Harrelson. Uno non si aspetterebbe di trovare tanta pronfondità in un film d'azione e di sentimenti destinato a un pubblico giovane. Proprio per questo la forza di alcuni contenuti che La ragazza di fuoco riesce a trasmettere ti sorprende e disorienta, grazie anche all'intensità nella recitazione dei giovani e bravissimi protagonisti, fiancheggiati da caratteristi di razza come Harrelson, un Donald Sutherland che non si decide ad andare in pensione (e meno male!), Paula Malcomson (Deadwood, Caprica, Sons of Anarchy) e la mia preferita: Elizabeth Banks. Impagabile nel ruolo di Effie, acchittata come una Lady Gaga prima edizione ma in grado di svelare poco a poco un'insospettabile densità emotiva che riesce a superare indenne la barriera del maquillage da cortigiana del futuro e dei frizzi. Unica eccezione é il bellone Liam Hemsworth, che ricorda nelle espressioni lignee e stereotipate le carenze recitative ormai assodate di illustri predecessori, come Harrison Ford e Ben Affleck. Per quanto ce la metta tutta, l'attore australiano ancora non ce la fa a sfondare l'obiettivo e a conquistare il cuore del pubblico, figuriamoci a tenersi quello di Katniss, una Jennifer Lawrence intensissima. Mi fermo qui, per evitare uno spoiler che in questo momento mi fa prudere le dita e ne approfitto per tornare ad occuparmi di sentimenti.

Era ora. Il film, una volta tanto, é libero dall'abituale infornata di doppi sensi sessuali, sensualità poco adatta ai preadolescenti e violenza gratuita. La trama, intendiamoci bene, contiene una generosa dose d'azione e non mancano morti, feriti e qualche scontro violento. Grande assente, però, ed é un gran merito di regista e sceneggiatore, é un qualsiasi compiacimento nel mostrarle. Chi muore, durante il film, lo fa con una dignità antica che ricorda le pellicole di qualche decennio fa, senza per questo rinunciare alla spettacolarità garantita da effetti speciali ben realizzati, che però non rubano mai la scena agli attori umani.

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