Hunger Games - La Ragazza di Fuoco

di Marco Modugno
Amore, sacrificio, lealtà, giustizia. Ci sono tutti gli ingredienti per un dramma giovanile che non si limita a divertire e basta, lasciando dietro di sé, o perlomeno provandoci, i semi di qualcosa di buono. Alla ferocia bieca del regime di Capitol City si oppongono gli affetti semplici di Katniss per sua madre e sua sorella Prim, scampata alla selezione degli Hunger Games dell'anno prima. La piccola é cresciuta e mostra il suo carattere di giovane donna, in questo secondo capitolo, ormai capace di mantenere il sangue freddo, di gestire situazioni difficili, di decidere. Ma é tempo di decisioni un po' per tutti, a Panem, all'indomani della vittoria di Peeta e Katniss. La prima a trovarsi di fronte a bivi difficili é proprio l'eroina con l'arco, costretta suo malgrado a diventare il simbolo di una speranza che resiste fiera, sopravvivendo ad ogni repressione. Sarà lei, potete scommetterci, ad accendere il fuoco del titolo, a dover scegliere il sacrificio, invece della gloria e del benessere, a decidere di amare contro tutto e tutti, a rischiare la reputazione, prima, e poi la vita in una nuova micidiale edizione dei giochi, la 75ma, in cui tutto quanto, compresa l'esistenza beata di chi aveva creduto, vincendo, di aver superato il punto di svolta, verrà rimesso in discussione. Un messaggio, questo, ben diverso dall'avere tutto e subito, fregandosene del prossimo, cui i giovani contemporanei sono abituati.



Adrenalina pura ed elettricità ad alto voltaggio al posto dei ritmi melensi di Twilight e personaggi finalmente pieni di spessore, sfaccettature, sentimenti credibili, rappresentano i punti di forza di un sequel mai noioso e scontato, nonostante il rischio nell'uso di qualche stereotipo (le citazioni da “The running man”, inteso come il bel romanzo di Stephen King prima che il mediocre film con Schwarzenegger, ci sono eccome). Al centro di tutto, per tutta la durata della pellicola, le vicende personali di antieroi con i quali non si fatica affatto ad immedesimarsi e che si finiscono proprio per questo per amare, circondati da comprimari capaci di inattesi guizzi d'umanità e poesia. La “conversione” di Effie, che raggiunge il suo apice nel momento in cui consegna i suoi preziosi regali ai membri maschili della “sua” squadra, l'ambiguità di Finnick, bello e antipatico che svela improvvisamente tutta la sua umanità nell'amore per Mags (un'anziana e coraggiosa signora, simile a quelle che la nostra generazione é abituata ad abbandonare in ospizi e case vuote, affidandole alla badante straniera di turno, e che invece molto avrebbero ancora da insegnarci), l'emozione e la rabbia spontanee della folla nello scoprire che una delle concorrenti (non vi svelerò quale) potrebbe essere incinta (“Fermate i giochi!”, anche se gridarlo in pubblico può costare un'esecuzione sommaria) e tante altre scene simili arricchiscono la trama di momenti drammatici e poetici, che riescono a scuotere gli spettatori e a coinvolgerli, anche se si tratta di chi ha già preso da un pezzo la licenza media.

Sullo sfondo sfila un mondo invecchiato precocemente, disumanizzato, nel quale in fondo ci si scopre quasi ad invidiare la semplice vita dura ma tutto sommato bucolica dei Distretti, piuttosto che immaginarsi anche solo per un giorno cittadini della megalopoli futuristica Capitol City, la cui architettura sembra il parto della fantasia di un Albert Speer strafatto di metanfetamina. Il fascino da sempre esercitato sugli autori americani dall'epoca classica si percepisce nell'onomastica. I cattivi portano nomi come Caesar, Seneca, Plutarch, e la festa di inaugurazione dei giochi somiglia a un baccanale del Ventunesimo Secolo.



Accompagna la visione la colonna sonora di James Newton Howard, discretamente epica, mai invasiva (manca però forse un motivo principale che resti impresso davvero, come la marcia di Satr Wars, il tema della Contea de Il signore degli anelli, o la memorabile canzone dei nani de Lo hobbit, ed é un po' tardi, ormai, per pensarci), mentre la fotografia di Jo Willems gioca con la palette di colori per alternare ai grigi dei Distretti il verde malato della giungla artificiale dell'arena e i pastello chiari della capitale. Menzione d'onore, non ci si può esimere, per i costumi, curati e originali senza strafare. Ad eccezione dei Pacificatori del regime, con le loro corazze bianche che li fanno sembrare emuli bizzarri delle truppe d'assalto imperiali di lucasiana memoria, ma con in testa caschi da motociclisti (o piloti spaziali anni Settanta, se preferite).

Katniss é andata avanti, e il resto della storia la segue. Il secondo capitolo della serie é più bello, intenso, sofferto e appassionante del primo. Piacerà, e tanto, non solo al suo pubblico più ovvio di adolescenti (“giovani adulti” é una definizione di per sé ossimorica che mi rifiuto di adottare) alla ricerca delle prime vere emozioni. Una volta tanto, infatti, la definizione di film per tutti é davvero azzeccata. Usciranno dal cinema soddisfatti ragazzi e genitori, maschi e femmine, fan dell'azione e amanti di trame complesse, con un po' più di spessore di una puntata di Violetta.
La gazza imitatrice si prepara alla guerra, cari amici, e non sognatevi nemmeno, dopo il finale lasciato in sospeso, di tirarvi indietro. Fate conto di aver acquistato, assieme al biglietto per questo film, anche le prevendite dei biglietti dei due seguiti attesi. Tanto non resisterete alla voglia di sapere come andrà a finire.
Il 27 novembre il film sarà nelle sale italiane. A casa mia, per l'occasione, moglie e figlia mi hanno fatto cancellare tutti gli impegni dall'agenda. Ci vediamo al cinema.