The Legend of Tarzan
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La fame inesauribile di miti già consolidati da (ri)portare al cinema ha portato Warner Bros. a compiere una scommessa pericolosa: tornare a puntare su un eroe nato dalla penna di Edgar Rice Burroughs, dopo il naufragio Disney con il franchise di John Carter.
Alla luce del deludente risultato al botteghino statunitense, la domanda é d'obbligo: nel 2016 abbiamo ancora bisogno degli uomini statuari e galanti dello scrittore d'inizio Novecento?
Guardando a The Legend of Tarzan la risposta sembra chiaramente un “no” secco, ma dobbiamo fermarci un attimo e riflettere. Un film dalle premesse più o meno identiche (bimbo umano cresciuto nella natura selvaggia da animali impara a comunicare con loro fino a divenire una sorta di leader spirituale della fauna locale contro l'invasione dell'uomo civilizzato), Il Libro Della Giungla, é stato uno dei grandi successi di questa primavera. In cosa é diverso Tarzan, oltre a un target più adulto?
Il problema del Re della Giungla é che é incredibilmente più problematico del bambino cresciuto dai lupi. Il personaggio originario é una summa dei peggiori difetti di un certo "machismo" novecentesco: é affiancato da una Jane capace solo di farsi salvare e il suo rapporto di lord inglese con le popolazioni africane locali talvolta sfiora sfumature razziste.
Ovviamente Warner Bros. é intervenuta a fondo sulla storia originaria per tentare di levigare le spigolature più pericolose: stavolta Jane (interpretata dalla splendida Margot Robbie) é stata pubblicizzata come “un'eroina attiva” e al cast é stato aggiunto il personaggio di Samuel L. Jackson, avventuriero statunitense che si batte contro la schiavitù.
La storia infatti parte quando la leggenda di Tarzan é già nota in tutto il mondo e John (Alexander Skarsg rd) ha già fatto ritorno in Inghilterra con la moglie Jane. Il re del Belgio però invia il suo sottoposto più fedele (un Christoph Waltz ormai eletto cattivo ufficiale da Hollywood) in Congo per i suoi loschi affari, che finiranno che per richiamare nella Giungla anche il suo re.
Qualcosa di buono qua e là potrebbe anche intravedersi (un certo lavoro sulla natura ferina e incontrollabile, oltre che molto malinconica, di Tarzan) ma tutto ciò che é positivo viene annegato da un lungometraggio che ci mette davvero troppo ad imbastire la sua storia, finendo per annoiare lo spettatore.
Anche la questione razziale e femminista é in fondo mal gestita: ci ritroviamo ad assistere a i due biondissimi protagonisti che insegnano come si vive in Africa al “nero protagonista” di turno, che per giunta viene prontamente etichettato come “lo statunitense”.
Poca azione, battute poco divertenti e una nota malinconica inaspettata insomma creano un'alchimia che difficilmente funzionerà al botteghino estivo, tradizionalmente senza pensieri.
Alla luce del deludente risultato al botteghino statunitense, la domanda é d'obbligo: nel 2016 abbiamo ancora bisogno degli uomini statuari e galanti dello scrittore d'inizio Novecento?
Guardando a The Legend of Tarzan la risposta sembra chiaramente un “no” secco, ma dobbiamo fermarci un attimo e riflettere. Un film dalle premesse più o meno identiche (bimbo umano cresciuto nella natura selvaggia da animali impara a comunicare con loro fino a divenire una sorta di leader spirituale della fauna locale contro l'invasione dell'uomo civilizzato), Il Libro Della Giungla, é stato uno dei grandi successi di questa primavera. In cosa é diverso Tarzan, oltre a un target più adulto?
Il problema del Re della Giungla é che é incredibilmente più problematico del bambino cresciuto dai lupi. Il personaggio originario é una summa dei peggiori difetti di un certo "machismo" novecentesco: é affiancato da una Jane capace solo di farsi salvare e il suo rapporto di lord inglese con le popolazioni africane locali talvolta sfiora sfumature razziste.
Ovviamente Warner Bros. é intervenuta a fondo sulla storia originaria per tentare di levigare le spigolature più pericolose: stavolta Jane (interpretata dalla splendida Margot Robbie) é stata pubblicizzata come “un'eroina attiva” e al cast é stato aggiunto il personaggio di Samuel L. Jackson, avventuriero statunitense che si batte contro la schiavitù.
La storia infatti parte quando la leggenda di Tarzan é già nota in tutto il mondo e John (Alexander Skarsg rd) ha già fatto ritorno in Inghilterra con la moglie Jane. Il re del Belgio però invia il suo sottoposto più fedele (un Christoph Waltz ormai eletto cattivo ufficiale da Hollywood) in Congo per i suoi loschi affari, che finiranno che per richiamare nella Giungla anche il suo re.
Qualcosa di buono qua e là potrebbe anche intravedersi (un certo lavoro sulla natura ferina e incontrollabile, oltre che molto malinconica, di Tarzan) ma tutto ciò che é positivo viene annegato da un lungometraggio che ci mette davvero troppo ad imbastire la sua storia, finendo per annoiare lo spettatore.
Anche la questione razziale e femminista é in fondo mal gestita: ci ritroviamo ad assistere a i due biondissimi protagonisti che insegnano come si vive in Africa al “nero protagonista” di turno, che per giunta viene prontamente etichettato come “lo statunitense”.
Poca azione, battute poco divertenti e una nota malinconica inaspettata insomma creano un'alchimia che difficilmente funzionerà al botteghino estivo, tradizionalmente senza pensieri.