The Menu, recensione: abbasso gli chef, viva i cheeseburger
“Questo è il campo base delle stronzate” commenta acida Margot (Anya Taylor-Joy) all’inizio di quella che si preannuncia essere la cena più memorabile della sua vita. L’uomo che frequenta, Tyler (Nicholas Hoult), l’ha trascinata a vivere un’esperienza gastronomica esclusiva e costosissima. Su un’isola in mezzo al mare lo chef Slovik (Ralph Fiennes) gestisce un ristorante di altissima qualità: 12 coperti a sera, una cena da sogno che dura oltre 4 ore e mezza e costa la bellezza di 1250 dollari. Un lusso per pochissimi: vecchi e nuovi ricchi, celebrità, critici gastonomici e foodies fighetti come Tyler.
The Menu si apre con l’invito al pubblico a gustarsi quello che propone la carta, ovvero una lunga serie di portate che spaziano dal thriller al horror, passando per la satira e la commedia nera. Il film di Mark Mylod ripassa sulla brace, senza troppa delicatezza, l’ossessione imperante per il cibo di alta qualità e per le “esperienze” in ambito culturale, artistico e culinario. Lo sottolinea la protagonista Margot, il pesce fuor d’acqua in un mondo diviso tra ricchi alla ricerca d’esclusività e lavoratori che parlano e si muovono come i membri di un setta religiosa. Nelle sue parole il cibo raccontato da The Menu e dalla realtà che fotografa è privo d’amore, ma frutto di ossessione, figlio di una vuota ricerca di perfezione, che spinge lo chef a dire ai propri clienti che non devono mangiare, bensì degustare.
The Menu: meglio della Palma d’Oro?
L’aspetto più elettrizzante di questo film è che come gli sfortunati commensali della cena, lo spettatore non ha davvero idea di dove Slovik e la sua cena vogliano andare a parare, alimentando per quasi tutta la durata la tensione e le aspettative, che sobbollono a fuoco basso. Ben presto è chiaro che sul piatto ci sono sapori molto forti e la posta in gioco è assai più alta di uno scontrino. Vedendo The Menù è difficile non pensare al film vincitore della Palma d’Oro di quest’anno, Triangle of Sadness. Di fatto The Menù si muove in mezzo allo stesso tipo di privilegio (quello conferito da denaro e status sociale) e mira a esaltare tutte le venature di stupidità e superficialità di cui è percorso. A differenza dell’osannatissimo (e molto sopravvalutato a parere di chi scrive) film di Ruben Östlund, The Menu è cosciente dei suoi mezzi e della profondità delle sue riflessioni. In altre parole, si muove in territorio ancora piuttosto commerciale, anche grazie alla sua parata di star, rivelandosi adattissimo anche a chi di cinema autoriale sa poco e nulla e cerca un film feroce per passare una serata stuzzicante.
Le riflessioni che The Menu fa però, per quanto dirette, sono tutt’altro che banali e si rivelano persino più puntuali di quelle delle film svedese. Triangle of Sadness infatti vuole essere un film autoriale, intelligente, acuto, che colpisce di taglio il mondo dei ricchi e degli arricchiti, mostrandone tutta la superficialità e la vacuità. Nel farlo però non dà ai suoi “cattivi” alcuna caratterizzazione se non stupidità, superficialità e un atteggiamento grottesco caricaturale. Una scelta che alla lunga lo rende un po’ banale, dato che le sue riflessioni raramente si spingono più in là della boutade che si trova facilmente sui social, azzeccando un paio di passaggio gustosissimi, ma insistendo così tanto sulle (poche) idee che ha da spazientire.
Al contrario lo chef di Ralph Fiennes è al contempo un aguzzino e una persona che ha perso la speranza. The Menu non lo fa diventare un’antieroe né ne giustifica il modo di agire disumano e glaciale, ma pian piano mostra la sua quieta disperazione per il mondo lavorativo in cui si muove. A far soffrire Slovik è come la sua arte sia stata esautorata della sua magia e del suo mistero da persone così ricche da potersi comprare tutto: proprietà, attrezzi da cucina, conoscenza.
La morte regna nel mondo dei ricchi
Dai critici ai clienti, nei piatti e nei cibi di The Menu questi clienti cercano uno status quo, un rafforzativo della propria ricchezza, ricordando a malapena un’esperienza che per la maggior parte della popolazione è inaccessibile o un sogno da vivere una volta nella vita. Nei suoi passaggi migliori The Menu racconta il mondo dei ricchi e dei famosi come un luogo mortifero, in cui l’accettazione del proprio status di privilegio è tale che lo stesso valore della vita è divenuto relativo. Margot al contrario, fiera rappresentate di chi per vivere deve ancora lavorare, non perde mai la sua pulsione alla sopravvivenza, mai si piega alle lusinghe e alle logiche del lusso e dell’esclusività.
Merita una menzione anche l’ottima prestazione di Hong Chau nei panni di Elsa, la responsabile di sala dalla fedeltà cieca al suo chef. Tra questo personaggio e quello di supporto nel bellissimo The Whale, Chau incamera un’altra annata di grandi recensioni, meritatissime. Speriamo che stavolta ci scappi anche una nomination agli Oscar, necessaria alla sua consacrazione.