The Monuments Men
Sergio Leone, parlando di Clint Eastwood ai tempi della Trilogia del dollaro, disse che l'attore californiano aveva solo due espressioni: una con il cappello e l'altra senza cappello. Sicuramente, Clint Eastwood non verrà ricordato come uno degli interpreti più versatili della storia del cinema, ma come regista ha poi dimostrato di avere tanto da dire e di saperlo dire molto bene.
La stessa cosa vale per George Clooney, il cui “bel faccino” (come lo definisce lui stesso ironicamente nel suo ultimo film), spesso ne ha oscurato le reali capacità artistiche. Già, perché quando pensiamo a George Clooney ci vengono subito mente la pubblicità di una famosa marca di caffé, una mega-villa sul lago di Como e le sue numerose relazioni sentimentali. E invece varrebbe la pena di soffermarsi un po' di più sulla sua attività di regista.
Clooney, che di Monuments Men é regista, sceneggiatore, produttore e interprete, ha portato sul grande schermo una storia vera, dalla quale é stato tratto il libro The Monuments Men, che merita assolutamente di essere vista.
Siamo nel 1943, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, e il governo americano trionfa per le vittorie ottenute, senza pensare all'immenso patrimonio artistico e culturale che rischia di essere danneggiato durante gli scontri. Frank Strokes (Clooney), storico dell'arte che la guerra ha portato nell'esercito, convince il governo americano ad intervenire per salvare gli innumerevoli tesori dell'arte occidentale, tesori dei quali Hitler ha cercato in ogni modo di appropriarsi. Strokes (personaggio fittizio basato su quello realmente esistito di George L. Stout), ottiene quindi il permesso di formare un'unità dell'esercito chiamata Monuments Men, il cui compito sarà proprio quello di restituire ai legittimi proprietari le opere d'arte trafugate dai nazisti.
Questo insolito plotone é formato da amici di vecchia data di Strokes, fra i quali il direttore del Metropolitan Museum di New York (Matt Damon), uno scultore (John Goodman), un noto architetto (Bill Murray), e altri professionisti dell'ambito artistico, ai quali si aggiunge un giovane soldato ebreo, tedesco di nascita ma residente negli Stati Uniti (Dimitri Leonidas).
I Monuments Men sono accomunati dalla volontà di recuperare il prima possibile ciò che é stato indebitamente rubato dalle SS, ma nessuno di loro (ad eccezione del soldato) ha grande esperienza militare, né la prestanza fisica necessaria. Dal momento in cui vengono arruolati dall'esercito, però, ne diventano membri a tutti gli effetti. Disposti anche a morire pur di portare a termine la propria missione, una missione che ritengono non meno importante di tante battaglie combattute con le armi da fuoco. Questo é il messaggio centrale del film, che viene ribadito anche da Strokes-Clooney, assumendosi la responsabilità di una affermazione così forte e provocatoria.
La tesi di Clooney e del suo co-sceneggiatore Grant Heslov é quella che un popolo (o addirittura, un'intera civiltà, come quella occidentale), non possa vivere senza il proprio patrimonio culturale. E sotto questo aspetto, in molti saranno d'accordo con Clooney.
Da un altro punto di vista, invece, sono sicura che il film incontrerà notevoli resistenze: l'orientamento é chiaramente di stampo filo-americano, come emerge più volte nel corso della storia. In un certo senso, c'era da aspettarselo.
A discolpa di Clooney, posso dire che i Monuments Men fanno notare una certa ottusità da parte del proprio governo e dei vertici dell'esercito, ma l'impressione generale é comunque quella di una celebrazione dei valori di democrazia e libertà portati dagli americani in Europa. Anche questo, oserei dire, era abbastanza prevedibile.
Ottima l'interpretazione da parte dell'intero cast, soprattutto di Cate Blanchett nei panni di Claire, curatrice del Jeu de Paume (importante Galleria d'arte parigina) che riesce a registrare gli spostamenti delle opere d'arte nonostante la stretta sorveglianza dei nazisti.
Il punto di forza del film, che é poi il motivo che mi spinge a consigliarne la visione, é il grande amore per l'arte dimostrato da Clooney, amore che traspare da ogni singola sequenza. In un momento storico e sociale come quello che stiamo vivendo, in cui la cultura sembra essere diventata un aspetto secondario della vita di un essere umano, trovo davvero ammirevole l'intento del regista-sceneggiatore. Il fatto che queste vicende siano avvenute nel secolo scorso non ci giustifica a dimenticare l'importanza svolta dall'arte nella storia dell'Uomo.
Unica pecca del film é, come già accennato, un ostentato patriottismo americano, senza il quale la nobiltà della vicenda e l'interpretazione dei protagonisti avrebbero ottenuto un maggiore consenso.
La stessa cosa vale per George Clooney, il cui “bel faccino” (come lo definisce lui stesso ironicamente nel suo ultimo film), spesso ne ha oscurato le reali capacità artistiche. Già, perché quando pensiamo a George Clooney ci vengono subito mente la pubblicità di una famosa marca di caffé, una mega-villa sul lago di Como e le sue numerose relazioni sentimentali. E invece varrebbe la pena di soffermarsi un po' di più sulla sua attività di regista.
Clooney, che di Monuments Men é regista, sceneggiatore, produttore e interprete, ha portato sul grande schermo una storia vera, dalla quale é stato tratto il libro The Monuments Men, che merita assolutamente di essere vista.
Siamo nel 1943, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, e il governo americano trionfa per le vittorie ottenute, senza pensare all'immenso patrimonio artistico e culturale che rischia di essere danneggiato durante gli scontri. Frank Strokes (Clooney), storico dell'arte che la guerra ha portato nell'esercito, convince il governo americano ad intervenire per salvare gli innumerevoli tesori dell'arte occidentale, tesori dei quali Hitler ha cercato in ogni modo di appropriarsi. Strokes (personaggio fittizio basato su quello realmente esistito di George L. Stout), ottiene quindi il permesso di formare un'unità dell'esercito chiamata Monuments Men, il cui compito sarà proprio quello di restituire ai legittimi proprietari le opere d'arte trafugate dai nazisti.
Questo insolito plotone é formato da amici di vecchia data di Strokes, fra i quali il direttore del Metropolitan Museum di New York (Matt Damon), uno scultore (John Goodman), un noto architetto (Bill Murray), e altri professionisti dell'ambito artistico, ai quali si aggiunge un giovane soldato ebreo, tedesco di nascita ma residente negli Stati Uniti (Dimitri Leonidas).
I Monuments Men sono accomunati dalla volontà di recuperare il prima possibile ciò che é stato indebitamente rubato dalle SS, ma nessuno di loro (ad eccezione del soldato) ha grande esperienza militare, né la prestanza fisica necessaria. Dal momento in cui vengono arruolati dall'esercito, però, ne diventano membri a tutti gli effetti. Disposti anche a morire pur di portare a termine la propria missione, una missione che ritengono non meno importante di tante battaglie combattute con le armi da fuoco. Questo é il messaggio centrale del film, che viene ribadito anche da Strokes-Clooney, assumendosi la responsabilità di una affermazione così forte e provocatoria.
La tesi di Clooney e del suo co-sceneggiatore Grant Heslov é quella che un popolo (o addirittura, un'intera civiltà, come quella occidentale), non possa vivere senza il proprio patrimonio culturale. E sotto questo aspetto, in molti saranno d'accordo con Clooney.
Da un altro punto di vista, invece, sono sicura che il film incontrerà notevoli resistenze: l'orientamento é chiaramente di stampo filo-americano, come emerge più volte nel corso della storia. In un certo senso, c'era da aspettarselo.
A discolpa di Clooney, posso dire che i Monuments Men fanno notare una certa ottusità da parte del proprio governo e dei vertici dell'esercito, ma l'impressione generale é comunque quella di una celebrazione dei valori di democrazia e libertà portati dagli americani in Europa. Anche questo, oserei dire, era abbastanza prevedibile.
Ottima l'interpretazione da parte dell'intero cast, soprattutto di Cate Blanchett nei panni di Claire, curatrice del Jeu de Paume (importante Galleria d'arte parigina) che riesce a registrare gli spostamenti delle opere d'arte nonostante la stretta sorveglianza dei nazisti.
Il punto di forza del film, che é poi il motivo che mi spinge a consigliarne la visione, é il grande amore per l'arte dimostrato da Clooney, amore che traspare da ogni singola sequenza. In un momento storico e sociale come quello che stiamo vivendo, in cui la cultura sembra essere diventata un aspetto secondario della vita di un essere umano, trovo davvero ammirevole l'intento del regista-sceneggiatore. Il fatto che queste vicende siano avvenute nel secolo scorso non ci giustifica a dimenticare l'importanza svolta dall'arte nella storia dell'Uomo.
Unica pecca del film é, come già accennato, un ostentato patriottismo americano, senza il quale la nobiltà della vicenda e l'interpretazione dei protagonisti avrebbero ottenuto un maggiore consenso.