The Prodigy - Il Figlio del Male

La possessione dell’anima, demoniaca o meno, è da sempre uno dei temi portanti della letteratura e della cinematografia horror. L’ultima fatica di Nicholas McCarthy è interamente incentrata proprio sul tema della possessione e mette al centro della scena le vicende della famiglia Blume che ha appena aggiunto un +1 al counter domestico per l’arrivo del piccolo Miles. Quello che ovviamente Sarah (Taylor Schilling, Orange is The New Black) e John (Peter Mooney, Rookie Blue) non sanno è che poco distante da loro, uno spietato serial killer è stato appena ucciso dalla polizia locale e che la sua anima ha appena “colonizzato” il neonato.

Edward Scarka, questo il suo nome, è un assassino di giovani donne, a cui piace tagliare le mani alle sue prede prima di ucciderle definitivamente. Una delle sue vittime riesce però a scappare, riuscendo ad allertare la polizia che nel corso dell’irruzione uccide l’uomo.

I primi anni di vita di Miles, scorrono più o meno nella normalità, se si eccettua la sua eterocromia (gli occhi hanno colori diversi uno dall’altro) e la sua straordinaria intelligenza. Il bambino è però anaffettivo nei confronti dei coetanei e presto inizia a sviluppare un certo grado di violenza, dapprima verso gli insetti e poi direttamente verso i compagni dell’asilo. Ma è soprattutto durante le ore notturne che Miles inizia a rivelare la sua vera natura e ben presto Sarah e John capiscono quanto pericoloso sia il proprio figlio, fino alle conseguenze più estreme.

Anche se parte da buoni presupposti, Prodigy convince solo a metà. Innanzitutto perché è un horror più teorico che pratico, andandosi invece a innestare nel filone dei thriller a sfondo paranormale. Ma anche qui il crescendo della tensione è piuttosto blando e a parte un paio di episodi inquietanti, di cui uno svelato dal trailer ufficiale, manca una solida base di tensione narrativa che riesca ad attrarre lo spettatore verso le vicende sullo schermo. Ben diverso è quanto accade sul finale, dove la violenza esplode in tutta la sua ferocia e dove il tutto diventa “disturbante” in virtù del fatto che è un bambino di otto anni l’autore del rigurgito di tutta questa brutalità.

E qui bisogna davvero fare un plauso al piccolo Jason Robert Scott, che abbiamo già visto in IT nei panni dello sfortunato Georgie. Questa volta Jason passa dall’altra parte della barricata, interpretando magistralmente il ruolo dell’inquietante bimbo assassino. L’espressione fragile e indifesa del giovanissimo attore americano riesce a diventare incredibilmente sadica e malvagia nell’arco di un solo frame della pellicola, cambiando in un istante il tono del discorso e della scena. Molto in parte anche Taylor Schilling che è brava e credibile nei panni della madre disposta a tutto pur di liberare il figlio dalla presenza oscura che sembra ormai averne preso il controllo. Meno tangibile, invece, il contributo di Peter Mooney, dipinto bidimensionale sullo sfondo di una famiglia avviata ormai verso il disastro.

Piccola nota a margine: nel film viene citato David Bowie come affetto da eterocromia. E' un errore: il "Duca Bianco" aveva semplicemente una pupilla paralizzata.