The Program

di Simone Rampazzi
Tutti conoscono, più o meno, la storia di Lance Armstrong, anche chi non si é mai avvicinato troppo allo sport del ciclismo. Quello che molti non sanno, invece, é tutto il retroscena che si é sempre celato alle spalle dell'atleta, prima considerato grande campione e poi rivalutato come uno dei più imponenti bluff dello sport.

Quello che tenta di fare il regista Stephen Frears, con la sua pellicola The Program, é quello di ripercorrere le tratte che hanno solcato la vita di Armstrong fino ai giorni nostri, concentrandosi sui successi sportivi, sulla sua lotta contro il cancro e sulla sua ammissione, solo dopo molti anni, dell'uso di doping durante la maggior parte delle competizioni. Chi é dunque Lance Armstrong? Eccovi l'interpretazione di Frears.



Un uomo con i propri limiti



La pellicola prende ispirazione dal romanzo biografico “Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong” ovvero il libro scritto da David Walsh, nel quale viene spiegata la dura lotta combattuta appunto dal giornalista per cercare di smascherare il ciclista per l'utilizzo di sostanze dopanti durante il Tour de France. E nel film, invero, vediamo lo spezzone di vita che vede come protagonisti i due come due facce della stessa medaglia, in una lotta dove si scontra l'etica al confine invalicabile tra bene e male.

Difatti proprio se da un lato il ciclista era pronto a tutto pur di superare quel confine, al fine di non dimostrarsi mai debole, dall'altra il giornalista ha combattuto con le unghie e con i denti per dimostrare le sue teorie di fronte ad un'ascesa troppo repentina, se non addirittura surreale, dello stesso Armstrong.
Frears ha dimostrato di saper gestire al meglio un film biografico

E così Frears, da buon regista inglese, comincia il suo racconto dall'inizio della vicenda, cercando di regalarci grazie all'ausilio degli attori Ben Foster e Chris O'Dowd, un reale spezzato di quello scontro che li ha uniti al termine di un'intervista fatta durante una partita a biliardino. Ripercorriamo dunque le prime mancate vittorie nelle tappe francesi, nelle quali Armstrong non riesce a dare il massimo vista la sua fisicità non adatta alla scalata, passando al programma EPO (Eritropoietina) affrontato insieme al medico Michele Ferrari che gli fa acquistare soltanto una vittoria, prima di scoprire di essere malato di cancro ai testicoli (E' di queste ore la diffida che il Dottor Ferrari ha affidato ai suoi legali, che richiede addirittura la rimozione del film dalle sale italiane). Dopo la chemio e diverse sedute mediche, solo un intensivo programma riesce a rimetterlo in carreggiata, ma questo stesso artificio lo porta sì ad una vittoria schiacciante nel Tour de France del 1999 ma accende quella lampadina di profondo dubbio in Walsh che, guardandolo dai televisori, non riesce a credere nella favola del miracolato.



Ma la pellicola non si concentra solo sui due protagonisti, ma spazia anche nel regalarci uno scorcio del ciclismo visto “dall'interno”, che appare composto da dinamiche preoccupanti e non sempre chiare che vedevano moltissimi atleti coinvolti nell'utilizzo di sostanze dopanti. Ne fa una dimostrazione lo stesso regista quando riporta gli scandali del 2004 con L.A.Confidential avente sempre come protagonisti Armstrong e Walsh, ma va avanti anche con confessioni di ex compagni della US Postal utilizzando anche scene molto dirette, come quelle dove compaiono i ciclisti in fila durante le solite trasfusioni pre-competizione.

Sappiamo bene che i risultati incredibili del regista, seguiti dai commenti dei giornalisti del tempo, hanno portato via via alla decisione della USADA nel 2012 di squalificare a vita Armstrong, togliendogli anche tutti i risultati sportivi ottenuti dal 1998 in poi. Soltanto nel 2013 durante uno show con Oprah Winfrey, il ciclista ammise le sue colpe di fronte al pubblico, lasciando il mondo senza parole.



Un regista contro uno spaccato di storia



Il compito di Frears non é stato molto semplice, se non altro perché lo spaccato di storia da includere all'interno della pellicola era veramente molto lungo per essere concentrato nel poco tempo che un lungometraggio permette. Ma bisogna ammettere che lo spettacolo funziona, crea il giusto pathos intorno al personaggio e per un certo momento quasi riesce a mitizzarlo, riconoscendo l'inganno epocale fatto dalla squadra del ciclista nei confronti di milioni di persone.

Lo spettatore in sala riesce dunque a vivere una storia guardandola dall'interno, come se fosse direttamente coinvolto nella vicenda. L'aiuto viene anche da una scelta di montaggio ben congegnata che regala ottime riprese “on the road” molto vocative, seguite da un'ottima interpretazione degli attori coinvolti. Ben Foster é brillante, somigliante e decisamente credibile nel ruolo del ciclista e regala bellissime scene coadiuvate dal doppiaggio in lingua originale, che non sappiamo ancora come verrà tradotto in lingua nostrana.

Di certo, in quanto biografia tratta da una storia vera, é difficile mettere The Program sullo stesso piano di opere come The Queen, ma anche in questo caso il regista si é ben difeso, riuscendo a portare in sala un prodotto fine a se stesso e privo di sbavature.