The Shrouds, recensione: anche quando sbaglia, uno come David Cronenberg sa affascinare
Visionario, autobiografico ma purtroppo non riuscito, il nuovo film di Cronenberg prova che un grande autore può affascinare anche con i suoi sbagli.

The Shrouds è davvero un film sbagliato, o quantomeno non riuscito. Il suo regista David Cronenberg però non solo ha tutte le attenuanti generiche del caso, ma riesce comunque nel sbagliare a stimolare e affascinare lo spettatore, con una miriade d’idee e fascinazioni che si avvolgono addosso a chi è seduto in sala e lo accompagnano a lungo, come i sudari del titolo.
L’attenuante principale è che Cronenberg affronta questo film in maniera meno sublimata del solito, riversandoci dentro l’evento che l’ha tenuto lontano dalle scene per molti anni dopo l’uscita di Maps to the Stars (2014). La sceneggiatura di The Shrouds infatti è ispirata dal profondo lutto affrontato da Cronenberg dopo la morte della moglie per malattia. È la stessa cosa che capita al personaggio di Vincent Cassel, palese alter ego del sceneggiatore e regista, tanto che sfoggia il medesimo taglio di capelli.

Vincent Cassel è l'alter ego di David Cronenberg
Karsh, come prevedibile, elabora il suo lutto in modo molto sui generis, anche per gli standard del cinema cronenbergiano. Fonda la GraveTech, un’impresa tecnologica che costruisce cimiteri molto particolari in giro per il mondo. I corpi dei defunti qui sepolti sono infatti avvolti in sudari ipertecnologici che rendono di fatto possibile monitorarne lo stato in tempo reale, con immagini ad altissima qualità. L’idea è probabilmente originata dall’ossessione di Karsh per il corpo della moglie, da cui non si vuole separare. In un miscuglio di feticismo, nostalgia e vouyerismo, ne monitora la decomposizione, ne osserva lo scheletro, dopo averne ammirato per anni il corpo nudo accanto a sé nel talamo coniugale.
Il problema è che dal punto di vista etico, religioso, ambientale e persino tecnologico, la GraveTech è un formidabile cavallo di Troia. Tanto che viene hackerata, dando il via a una sorta d’indagine da parte del protagonista per scoprire chi dei suoi tanti nemici l’ha tagliato fuori dal feed video del corpo della moglie.
Come sempre succede nel cinema di Cronenberg, c’è un’idea profonda, quasi assoluta di amore alla base della storia, solo che declinata in maniera personale e anticonvenzionale, fino a risultare controversa. Ridotto all’osso però il personaggio di Karsh è un inconsolabile vedovo vecchio stile, che non riesce a superare la frattura tra l’amore che ancora prova per la moglie e il fatto che lei non ci sia più. La parte più riuscita del film è proprio quella che si concentra sul lutto, riguardo a cui Cronenberg scrive pagine bellissime. Ridotto all’essenza Karsh cerca una via d’uscita a un dolore che lo ha isolato e, con metodi ancora una volta poco ortodossi, scopre che l’inizio del nuovo capitolo della sua vita passa proprio per la moglie.
The Shrouds è per esempio acutissimo nel rilevare come parte del dolore derivi dalla consapevolezza che il distacco tra vivi e morti ha fatto affiorare in Karsh: che ci sono piccoli e grandi lati della donna da lui amata che non conosceva, che non capisce e mai comprenderà. Altri due personaggi affrontano un divorzio ormai consumatosi e che viene efficacemente descritto come un lutto indefinito di un qualcosa che un tempo esisteva e ora non c’è più, salvo poi esistere in potenza a ogni incontro, almeno per una metà della coppia.

Karsh stesso, dopo anni di celibato, cerca un modo per aprire un nuovo capitolo della sua vita. Le donne a cui si accompagna sono, irrimediabilmente, affascinanti e peculiari: una è la sorella della moglie che le somiglia molto, l’altra è un’assistente virtuale generata con intelligenza artificiale. Tutti e tre i ruoli (moglie, sorella, avatar) sono interpretati da Diane Kruger, che per ciascuno trova un certo grado di personalità nei modi in cui le tre rimangono misteriose. C’è una quarta donna, cieca, il cui ricchissimo e paraonoico marito sta morendo. Anche in questa relazione la moglie di Karsh è una presenza, un punto di partenza.
The Shrouds si perde per strada
Il problema di The Shrouds è che questa riflessione sul lutto è solo una delle miriadi d’idee e fascinazioni che Cronenberg insegue, finendo per perdere completamente il controllo nell’ultimo terzo del film, tra complotti planetari, ingerenze cinesi e sicari russi. L’impressione è volesse raccontare una certa sensazione d'inconoscibilità della verità del nostro tempo, oltre a quanto sia semplice scivolare in dietrologie e complottismi, che diventano quasi una sorta d’eccitante feticismo. Solo che più che essere spaesato e confuso il protagonista, sembra che sia il film stesso a subire questa condizione. Per fortuna nei momenti di maggior imbarazzo The Shrouds può contare su un Vincent Cassel a sorpresa molto efficace in un ruolo che coniuga assieme malinconia, tenerezza e una certa dose di ruvidità nel ritratto di questa sorta di tycoon della Silicon Valley dal cuore spezzato.
Anche Guy Pierce fa un ottimo lavoro, soprattutto considerando che il suo personaggio di ex ancora innamorato e tecnico informatico è quello che il film non riesce proprio a gestire, essendo intimamente connesso alle svolte narrative più traballanti della trama. Dopo anni ai margini di Hollywood e dopo la nomination conquistata per il suo ruolo in The Brutalist, l’interprete si conferma in grandissima forma, gestendo alla perfezione un personaggio per molti versi opposto al magnate del film di Corbet.

Il compositore Howard Shore poi confeziona un altro piccolo gioiello musicale per l’amico Cronenberg, donando atmosfericità a una storia fatta soprattutto di misteri che la tecnologia - verso cui il cineasta è sempre molto scettico - più che svelare contribuisce in maniera determinante a creare. La collaborazione con Saint Laurent (che arriva dopo che Pedro Almodovar ha fatto da apripista in questo senso) consente al regista di avvolgere i suoi personaggi in ambienti di quieto lusso, di creare questi cimiteri così incredibili concettualmente eppure così verosimili nel loro design minimalista, che li fa sembrare la naturale conseguenza di un'estetica tech che parte dall'ecosistema Apple arriva a Tesla. Il che è un bene, perché, proprio come il mediometraggio Strange Way of Life di Almodóvar, il film ovvia così a una certa insistente staticità di fondo, dovuta forse all'età del suo regista: 82 anni.
Nazione: Stati Uniti
Voto
Redazione

The Shrouds
The Shrouds è un Cronenberg molto personale e purtroppo davvero sfuggito di mano nella sua parte conclusiva e risolutiva. Rimane comunque un film con una prima mezz’ora notevole e un sacco di spunti portentosi che ti si appiccicano addosso all’uscita in sala. Per amanti del genere, è il tipo di fallimento personale e suggestivo che non si rimpiange troppo di aver visto.