The Strangers: capitolo 1 – Troppa eco nel remake di Renny Harlin

Il film rischia di intrattenere solo coloro che non hanno visto l'originale del 2008

di Claudio Pofi

Maya (Madelaine Petsch) e Ryan (Froy Gutierrez) sono in viaggio attraverso gli Stati Uniti per recarsi a Portland, dove lei deve sostenere un colloquio di lavoro, mentre festeggiano i 5 anni di anniversario di fidanzamento.

Dopo un guasto sospetto alla macchina presso una piccola comunità rurale, sono costretti a riparare all'imbrunire presso un cottage ai margini di un bosco. Isolati e senza via di fuga, sono braccati da tre individui sempre più aggressivi che indossano diverse maschere (Scarecrow, Pin-Up Girl e Dollface), tentando di tutto per evitare di soccombere alla loro furia omicida, mentre la notte non sembra avere fine.

Un serial killer tira l'altro

Renny Harlin torna (davvero troppo) sulle orme del terrore scatenato dal celebre film del 2008 di Bryan Bertino, con il primo capitolo di una trilogia destinata a espandere il mito dei tre assassini mascherati. Un maldestro tentativo di coniugare nostalgia e fresca rilettura che si impantana in un pesante déjà-vu arrancando senza una propria identità, perlomeno in questo primo film. Il cuore della narrazione resta fedele alla struttura dell'opera di Bertino: come Kristen e James nel 2008, anche Maya e Ryan si ritrovano intrappolati in una situazione di pressoché totale vulnerabilità.

La sceneggiatura riprende fedelmente i toni del film originale, replicando la sensazione di minaccia incombente e il terrore del non sapere "perché", nell'ambito di questa home invasion da cliché totale. Qui come nel 2008 i pazzi criminali non hanno alcun bisogno di motivazioni dietro le loro mosse assassine. Dove però l'opera di Bertino si distingueva per l'essenzialità, Harlin tenta di ampliare l’universo narrativo, anticipando un’epica che si snoderà nei prossimi capitoli.

Il futuro rischia di soccombere al passato

L'originale The Strangers si affermò in quel periodo come uno dei film più inquietanti in virtù della semplicità narrativa e al vuoto pneumatico di cervelli cerebrolesi che spingono a gesta efferate senza che occorrano spiegazioni. Bertino non cercava di scavare nelle origini degli aggressori o di offrire risposte facili, questo mistero rendeva la violenza ancora più disturbante, riflesso della casualità e brutalità della vita reale.

Per contro Harlin sembra voler prendere una direzione diversa, con il film che chiude con un (bislacco) post-credit che suggerisce l’apertura verso un universo narrativo più ampio, rischiando al tempo stesso di minare uno degli elementi chiave del fascino dell’originale: l’imprevedibilità. Certo l’idea di colmare la narrazione e i vuoti del film di Bertino aggiungendo backstory potrebbe arricchire i personaggi mascherati, ma anche depotenziarne la mitologia.

Harlin meriterebbe di meglio

A livello visivo Harlin dimostra di saper giocare con le aspettative dello spettatore, specie durante le sequenze all’interno della casa. Una scena in particolare, con Maya al pianoforte e un sapiente utilizzo degli specchi, richiama la tensione psicologica del primo film. Harlin si diverte a rimandare i jump scare, lasciando lo spettatore in un costante stato di allerta. Nel momento in cui l’azione si sposta all’esterno il film tende a perdere coesione. Le sequenze nei boschi soffrono per una geografia confusa e una regia meno efficace, dimostrando che il vero cuore del film restano gli spazi claustrofobici.

Questo primo capitolo potrebbe assumere un significato più grande una volta che la trilogia sarà completa, ma per ora rimane un remake a malapena accettabile almeno da parte di chi non conosce l'originale, incapace di replicarne la stessa inquietudine. La speranza è che in futuro si oserà infrangere gli schemi, verso un’esperienza concretamente innovativa. Facilmente immaginabili le ragioni per cui la produzione ha pensato bene di non rischiare troppo con un budget di soli 8,5 milioni di dollari, che con i 47,8 milioni di incasso mondiale ha dimostrato lungimiranza commerciale.