The Substance è il grande ritorno di Demi Moore in un body horror sanguinario: la recensione

Demi Moore e Margaret Qualley sono le protagoniste di The Substance, un horror senza freni che fa dell’eccesso la sua bandiera, coprendo con ettolitri di sangue qualche mancanza di scrittura.

di Elisa Giudici

Fa quasi sorridere il fatto che un film che s’intitola The Substance abbia come limite quello di mancare un po’ di sostanza. Premessa fulminante, sviluppo concitato (i 140 minuti di durata non si sentono mai) e finale spettacolare in un inarrestabile rilancio nel territorio del sanguinolento e del grottesco quasi fanno dimenticare quanto sia esile la premessa dell’intera operazione. D’altronde spesso gli horror più riusciti sono quelli la cui idea è riassumibile in due righe scritte di tutta fretta su un tovagliolino al bar, à la Suspiria. Non quello colto e ricercatissimo di Guadagnino, ma l’originale di Argento.

Il podcast di The Substance

Coralie Fargeat si deve essere appuntata all’incirca questo, sul suo immaginario tovagliolino di carta: una star di Hollywood over 50 è disposta a tutto per non invecchiare, perché odia sé stessa. The Substance sta tutto lì e - volutamente - è calato in una versione non realistica né politica di Hollywood, quanto piuttosto esagerata, caricaturale, grottesca. Rimango un po’ perplessa nel leggere strali su femminismo e misoginia nei riguardi di un film che dipinge un mondo degli studios realistico quanto gli onnipresenti colori primari, brillanti, almodovariani e accoppiati sempre tra complementari (arancione blu, giallo viola e via dicendo) che permeano il suo immaginario di plastica. The Substance è finto, ma va bene così, perché si lascia guidare dalla sua dimensione visiva che dal rosa bubblebum corona nel rosso sangue.

La forma è la sostanza di The Substance

Elisabeth Sparkle (Demi Moore) è un’attrice con una stella un po’ crepata sulla Walk of Fame e un programma TV di fitness alla Jane Fonda. È una donna splendida (non secondo l’odiosa espressione “per la sua età”, ma proprio in generale, perché i costumini anni ‘80 attillati da pilates non perdonano), ma il produttore la giudica troppo vecchia per continuare a collaborare con l’emittente televisiva e la caccia senza tante cerimonie. Elisabeth viene a conoscenza di una via d’uscita alquanto misteriosa: quella di The Substance, che le promette di poter diventare la versione più giovane, bella e migliore di sé a settimane alterne.

Chi c’è dietro a The Substance? Qual è lo scopo di un progetto che non ha un volto, un prezzo o un essere umano connesso, la cui sede sta in un vicoletto sordido di LA e che a interagire con i propri clienti piazza uno dei call center tra i più inutili, irritanti e tendenziosi della storia del cinema? Misteri che non interessano né a Elisabeth né alla regista e sceneggiatrice francese Fargeat, giunta al secondo lungometraggio. La forma è la sostanza di The Substance, il cui misterioso siero arriva in una confezione dal design di grido, font Bebas Neue, cartoncini informativi stringatissimi e istruzioni minimali.

Elisabeth è disperata. Pensionata dai suoi capi, è incapace di godere della propria bellezza, di godersi il suo guardaroba da sogno e la sua casa stilosissima. Tanto da decidere d'iniettarsi la sostanza verde neon misteriosa presente nel kit. Si risveglia nel corpo di una versione giovanile di sé stessa, interpretata da una Margaret Qualley che si conferma l’attrice più coraggiosa, sfrontata e a suo agio con le frange meno filtrate del cinema autoriale e di genere.

Come in tutti gli horror ben fatti, le premesse e le regole sono semplici, ma lo sono ancora di più scappatoie, eccezioni e punizioni. Elisabeth e la sua alter ego Sue si devono tassativamente scambiarsi ogni 7 giorni: un corpo sveglio e attivo, l'altro in uno stato di catatonia. Per ogni ritardo, il corpo della dormiente viene intaccato. Elisabeth è la matrice, colei che ha il potere decisionale, ma al contempo è succube a livello mentale di una copia che percepisce più valevole perché più bella. La voce al telefono dice loro di trovare un equilibrio, perché sono la stessa persona. Prevedibilmente, la trama va nella direzione opposta.

Ciò che davvero interessa alla regista Coralie Fargeat è un tuffo di testa del body horror: è esaltante assistere ai 20 minuti finali di The Substance, che spinge l’asticella del gore e dello splatter sempre più in alto, inondando tutto con fiotti di sangue inarrestabili. Si sente e tanto l’influenza di un onnipresente Cronenberg, ma anche di De Palma. A differenza dei suoi riferimenti, a differenza dell’ultima connazionale e collega ad aver vinto la Palma con un film così incentrato sul corpo femminile (Titane di Julia Ducournau), Fargeat lascia che siano le immagini a parlare e non si spinge mai oltre. Le lezioni di pilates iper-sessualizzate di Sue, I tanti sederi e seni esposti per ribadire che il corpo femminile ha un valore se giovane, bello e e sodo, la stella di Elisabeth insozzata prima di ketchup, poi di sangue: il film si ferma al commentario visivo e non va oltre.

Demi Moore abbraccia l’eccesso di The Substance e fa un grande ritorno sulla scena

D’altronde quelle che propone sono immagini divertenti nel loro spudorato eccesso (tra corpi che cadono a pezzi, ossa che scricchiolano, carni e cibi consumati nel modo più ferale e disgustoso possibile) ma anche forti perché, purtroppo, viviamo in un mondo in cui è credibile che un corpo come quello della sessantunenne Demi Moore mostrato nudo e senza ingentilimenti venga considerato un’immagine forte, una scelta rischiosa.

Un rischio che paga: Moore abbraccia il ridicolo, il comico e il grottesco del personaggio e ne ricava un ruolo che segnerà il suo grande ritorno sulle scene (e forse anche la sua corsa per una statuetta). La sua Elisabeth è meravigliosa, ma non si ama perché sente di aver perduto qualcosa. Sue, che è perfetta e irresistibile, alla fine dimostra le stesse debolezze, fa gli stessi incubi, coltiva i medesimi desideri.

Sue ed Elisabeth non sono personaggi a tutto tondo, ma due facce della stessa ossessione perversa per un ideale di bellezza assoluto, quasi inquisitorio. The Substance si diverte a demolire le due e il loro ideale comune, pezzo di carne dopo pezzo di carne, raccontando un’umanità sola, vittima di cartelloni pubblicitari e a cui è impossibile sfuggire, dove la bellezza è irresistibile, assoluta, non corroborata da altro (carisma, talento, intelligenza) se non dall’essere pronti a tutto per preservarla, per viverla, anche se di riflesso.